4 Ristoranti è la trasmissione condotta dallo “Chef” Alessandro Borghese in onda su SkyUno che racconta, puntata per puntata di una sfida tra 4 ristoranti (per l’appunto) di una determinata città.
I ristoranti, che vengono minuziosamente scelti dalla Produzione e che non hanno facoltà di autocandidarsi, rappresentano spesso quattro tipologie o filosofie differenti, accomunate però da un elemento – che deve rimanere alla base della competizione.
4 Ristoranti è arrivato anche nella mia città – Bergamo. Va da sé che chi di professione scrive di ristoranti, sia immediatamente colto dalla curiosità di capire chi sia stato scelto per la puntata in oggetto e, partendo dal presupposto che il tema portante sarà “la cucina bergamasca” e mettendo provvisoriamente da parte le insegne stellate Michelin, ipotizza il Poker di 4 validi luoghi che possano scontrarsi per aggiudicarsi il titolo di miglior ristorante tipico della città di Bergamo.
Per poi scoprire che lo scontro si giocherà tra insegne inaspettate.
Ma, accantonati i pregiudizi e le perplessità, e colta l’occasione di conoscere quattro nuove destinazioni, sceglie di farsi un giro a testare (e ri-testare, in taluni casi) le cucine di quei 4 Ristoranti tra cui Borghese & Co. dovranno sancire il migliore ristorante di cucina bergamasca tra tradizione e contemporaneità.
La sfida dei “fantastici 4” tra Città Alta e Bassa ha definitivamente coinvolto: l’Alimentari e La Tana di Città Alta; l’Osteria dei Tre Gobbi e l’Ambulatorio Gastronomico nella Città Bassa.
E io, sono passata a visitarli, proponendomi di dare un giudizio in base agli stessi criteri (e gli stessi voti da 1 a 10) utilizzati nella trasmissione di Borghese, ovvero LOCATION, MENU’, SERVIZIO e CONTO.
In ciascun luogo – per avere un preciso termine di paragone – ho scelto di basarmi su due portate, pasteggiando a acqua ed evitando dolce e caffè. Iniziando col mio tour gastronomico da Bergamo Alta:
L’ALIMENTARI
LOCATION: 7/10
Posizionato da circa un mese nella piazza principale di Città Vecchia, il ristorante beneficia attualmente (e non ai tempi della registrazione della puntata) di una location accattivante che sorge all’interno di una palazzina del 1100 d.C. I locali nuovi sono dunque un punto a favore di un ristorante luminoso, dagli arredi sobri e di gusto. Se ci fermassimo a questo, potremmo garantire un punteggio pieno. Peccato che l’acustica aumenti in maniera decisa le voci di una clientela non sempre rispettosa dei tavoli vicini e, soprattutto, il campanello ininterrotto della cucina, continui ad annunciare in maniera fastidiosa i piatti in uscita (cosa, comunque, tranquillamente risolvibile e sostituibile). La mise-en-place è pulita e di gran gusto, rifiutando con aperturamoderna inutili tovagliami e affidandosi all’estetica – a tratti anche giocosa – di calici, bicchieri e posateria di gusto innovativo.
MENU’: 5/10
Un po’ per la posizione aperta a una clientela turistica, un po’ per il numero di coperti quantitativamente elevato (150), il menù – evidentemente votato alla tradizione bergamasca – ogni tanto scivola su proposte eccessivamente tourist-addicted a mio avviso evitabili nel 2017, come la lasagna alla bolognese o lo spaghetto al pesto. Anche il numero di portate potrebbe essere ridotto (7 antipasti; 7 primi; 7 taglieri; 7 secondi; 10 varietà di polenta…) lasciando spazio a maggior attenzione alla qualità, piuttosto che alla quantità. Stando dunque sulla tradizione ho scelto una porzione di casoncelli alla bergamasca – validi, seppur industriali – e un coniglio alla bergamasca – cotto molto bene e accompagnato con una buona polenta, un po’ troppo “morbida” per essere considerata tipicamente orobica. Carta dei vini molto interessante, annovera quasi un migliaio di etichette tra Italia ed Estero. Plauso per la scelta di etichette Top sul Territorio (come ad esempio, l’Azienda Agricola Biava – in rappresentanza del Moscato di Scanzo DOCG).
SERVIZIO: 10/10
Inappuntabile e incontestabile per gentilezza, professionalità e rapidità. Simona coordina col sorriso la sala in maniera ineccepibile. Tempi d’attesa pressoché inesistenti, disponibilità a soddisfare le richieste del cliente e attenzione verso il commensale anche nei piccoli gesti.
CONTO: 6/10
Trattandosi di un ristorante turistico, prezzi nella norma ma eccessivo il costo del coperto che – inclusa l’acqua – si propone a 4,50 € cad. In definitiva, per un primo e un secondo, ho speso 30,50 €, cifra che diventa accettabile soprattutto per la posizione su Piazza Vecchia.
TOTALE: 28
LA TANA
LOCATION: 8/10
Posizionato in una vietta che conduce alla passeggiata principale di Città Alta, si scorge questo piccolo ristorante. L’atmosfera dei suoi interni è calda e accogliente: luci calde, musica soffusa, suggestive pareti di pietra a vista avvolgono un locale dai pochi coperti (meno di una trentina) in cui sobrietà e semplicità ti abbracciano piacevolmente. I tavoli sono apparecchiati con semplicità (tovagliette di carta) e l’acustica dei locali assicura la possibilità di gustare il proprio pasto senza sopportare il brusio di sottofondo, anche a ristorante pieno.
MENU’: 7/10
Alla carta, il menù parrebbe perfetto: pochi piatti, chiari, coerenti e con idee intriganti. Si oscilla tra la tradizione (largo dunque ai taglieri, Casoncelli, trippa e polenta) e la creatività, data da abbinamenti che si ritrovano in piatti come la Crostatina di grano saraceno con porri, castagne e lardo, servita con composta di cipolle e crema di Branzi, o il Petto d’oca marinato al pepe verde e servito con pompelmo, pomodori e pinoli. Piatti con un buona idea di fondo ma a cui probabilmente manca il guizzo per raggiungere la perfezione e soprattutto ritrovare l’armonia e il dialogo al morso. Ineccepibile la tradizione, come nel caso dei casoncelli alla bergamasca, eseguiti a mano e armonicamente equilibrati nell’insieme. La carta dei vini presenta una gamma più o meno ampia di etichette di medio livello, per lo più nazionali.
SERVIZIO: 6/10
L’approccio iniziale della Sala è timido, ruvido, rigido e distaccato, per poi scaldarsi e ammorbidirsi nel corso del servizio. Atteggiamento dunque in attesa che poi finalmente sfocia in un rapporto e in un dialogo col cliente, al fine di offrire un’esperienza completa. Plauso invece per la rapidità del servizio.
CONTO: 8/10
Il coperto fissato a 2,50 € include acqua e pane (non fatto in casa e non freschissimo); i prezzi dei piatti sono onesti e in linea con una cucina casereccia e territoriale: 11 € per i casoncelli alla bergamasca e 16 e per un secondo di carne. In totale, la mia spesa è stata di 29,50 €.
TOTALE: 29
BENIGNI AMBULATORIO GASTRONOMICO
LOCATION: 10/10
A pochi passi dall’Accademia Carrara, l’Ambulatorio Gastronomico ti proietta in una dimensione extra-bergamasca, grazie al contesto innovativo, differente e alternativo da cui prende spunto. Un format dal respiro internazionale e che guarda ai modelli del nord Europa e ne ricalca la piacevole semplicità. Una bottega che lascia armonicamente spazio a un ristorante caratterizzato da arredi semplici, lineari e di gran gusto che, in un alternarsi di legno, ferro, pietra, cristalli e accenni di tessuto, mostrano quanto semplicità ed eleganza spingano in una direzione unica e coerente. Un luogo voluto e gestito dai fratelli Benigni – Andrea ai fuochi e Paolo in Sala – che, in autonomia e solitudine gestiscono questo progetto.
MENU’: 9/10
Il menù è semplicemente perfetto e ordinato per il numero di portate proposte: 4 primi, 6 secondi, qualche tapa, e un paio di taglieri. Ricca e interessante la carta dei vini, elegantemente presentata in un vecchio album fotografico. I piatti lasciano poco spazio alla trazione bergamasca (unica eccezione, i casoncelli) per privilegiare altre proposte regionali come un ottima Cacio e pepe e le Lumache Trifolate o accostamenti interessanti, come per i Ravioli del plin con fonduta, tartufo e acciughe del Cantabrico o la Coppa di Maialino con mostarda alle castagne. Paste ripiene realizzate a mano e grande ricerca per ingredienti e materia prima.
SERVIZIO: 6/10
Se proprio vogliamo trovare un neo a questo piccolo gioiello, eccolo qui. Il servizio in sala è un po’ freddo e distaccato ma, a detta di Paolo Benigni, consapevolmente e volontariamente. Personalmente, amo l’iterazione ovviamente che non sfoci nell’invadenza, ma che racconti di conoscenza e coinvolgimento. Ovviamente, un aspetto su cui è facile lavorare.
CONTO: 8/10
Piatti qualitativamente elevati e grande ricerca nell’ingrediente con un buon rapporto qualità/prezzo: 34,00 € per le consuete due portate, acqua e coperto – qui identificato nella voce “pane” e fissato a 3,00 €.
TOTALE: 33
OSTERIA DEI TRE GOBBI
LOCATION: 7/10
Osteria storica nel cuore di Bergamo Bassa, i Tre Gobbi rappresenta appieno la tipica trattoria senza fronzoli e senza grandi pretese. L’ingresso ha mantenuto intatta la zona bar, e non è un caso che il locale rimanga aperto al pubblico dalle 7 del mattino alla mezzanotte. Bancone e tavoli in faggio, tovagliette all’americana in carta da macellaio, mise-en-place oltre l’essenziale e luci calde, trasformano questo luogo un nido accogliente che acquista di valore nella stagione calda, grazie al gradevole e riparato dehors esterno. Una tipica osteria, dunque, ma in cui non mancano piccoli dettagli atti a scaldare l’ambiente ed elementi storici rievocativi, che regalano suggestione e atmosfera.
MENU’: 9/10
Arrivi prevenuto, sicuro che ad attenderti saranno solo taglieri di salumi e formaggi, casoncelli alla bergamasca, polenta, coniglio e strachitunt e invece la ricerca è forte, sia in materia di ingredienti utilizzati, sia relativamente alle tecniche di cottura, che non disdegnano l’innovazione e la capacità di adeguarsi al cambiamento; via libera così ad accostamenti ricercati, come per i tagliolini di pasta fresca, ragù di faraona, il loro fondo e mandorla d’Avola, o a elementi come il pak-choi o l’aglio nero che non conoscono imbarazzo nel dare forma a piatti interessanti e coerenti. Menù stagionale in cui lo Chef Marco Carminati – ingegnere chimico prestato con passione all’arte culinaria – azzarda con ricette curiose in cui solo per poco non si arriva a un equilibrio perfetto e che meriterebbero un occhio d’attenzione alle temperature. Da provare, la cervella panata con maionese alla soja e lime e il petto d’anatra, zucca, aglio nero e punt e mes. Piatti originali che, accompagnati da una tradizione appassionata (i casoncelli vengono realizzati in casa da una pastaia di 82 anni!), offrono una scelta che mette d’accordo tutti. Accettabile la quantità di primi e secondi in carta (5 cad.), un po’ elevata quella degli antipasti (8), seppur varia e mai ripetitiva.
SERVIZIO: 5/10
Il servizio è cortese e attento, soprattutto grazie al contributo dello Chef che – ricalcando i modelli nordici – peregrina di continuo tra sala e cucina, coprendo di attenzione il cliente e prestando particolare riguardo ai più piccoli, che vengono serviti tempestivamente e con largo anticipo. Un po’ lenti i ritmi e personale di sala non adeguatamente preparato sulla spiegazione delle pietanze, ma con il sorriso che non viene mai meno. Un po’ disorganizzato il personale, soprattutto quando alle 22.30 di sera telefona, segnalandoti che ti aspettavano a cena alle 19.30. E tu, di tutta risposta, gli fai notare che tu a cena ci sei stato, hai mangiato, pagato e che sei venuto via da circa un’ora!
CONTO: 9/10
Il conto è onesto: 31,50 € per due portate di buona qualità, acqua e coperto – in questo caso fissato a 1 euro ma che, un po’ per la mia avversione a questa voce, un po’ per l’essenzialità della proposta, eviterei di far pagare. Anzi, non vi fosse questa voce, il mio punteggio sarebbe stato certamente pieno.
TOTALE: 30
And the winner is…
Vince senza ombra di dubbio la creatività e la voglia di proporsi con un’idea nuova! Vince la capacità di distinguersi e di saper contestare nel contesto. Vince la volontà e la perseveranza di credere in una filosofia nuova. Vince il saper puntare alla qualità, piuttosto che alla quantità e di scegliere di conquistare e affezionare una clientela, piuttosto che sedurre temporaneamente il turista. E vince soprattutto la volontà di interpretare la cucina come veicolo di cultura e conoscenza, al fine di trasmettere a un commensale una storia, un prodotto, un’esperienza. Vince la Cucina sulla Sala che ancora, in Italia in generale, non riesce ad equilibrarsi per professionalità e passione. Ma si sa, a migliorare c’è sempre tempo e speranza…
Questa la mia visione, come sempre condivisibile o meno – ma certamente non appellabile. E in attesa di scoprire se i miei gusti hanno combaciato con quelli di Alessandro Borghese, resto disponibile a farmi offrire una cena. E ovviamente questa volta, il ristorante lo scelgo io!