L’Arte! L’Arte!
Ecco l’amante fedele, sempre giovine immortale; ecco la fonte della gioia pura, vietata alle moltitudini, concessa agli eletti; ecco il prezioso Alimento che fa l’uomo simile a un dio.
(da Il piacere – Gabriele D’Annunzio)
L’arte, la cultura, la storia.
E’ a questi tre elementi che è saggio proiettare il pensiero quando ci si riferisce alla cucina di Marco Cozza e Andrea De Carli, chef e titolari del Ristorante Rose a Salò, piccola grande realtà della ristorazione bresciana che, dal 2015, alimenta il crescente fermento gastronomico innescatosi lungo le rive del Lago di Garda.
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Un fermento che i due giovanissimi chef scelgono di arricchire con un progetto unico e coerente sia con il territorio che li ospita, sia con una visione culturale del proprio mestiere – ideando e intitolando un menù a uno dei più grandi esponenti della cultura italiana: Gabriele D’Annunzio.
Tra i personaggi più originali del patrimonio letterario del nostro Paese e massimo esponente del decadentismo italiano, Gabriele D’Annunzio scelse infatti di ritirarsi negli ultimi anni della sua vita sul Lago di Garda, presso la Villa di Cargnacco di Gardone Riviera – trasformandola progressivamente in un vero e proprio museo della sua persona, dei suoi gusti e delle sue stranezze. Nel 1938, alla sua morte, la villa passò nelle mani dello Stato italiano, tramutandola in un’istituzione – il Vittoriale degli italiani – ancora oggi luogo di cultura a trecentosessanta gradi.
Tra i documenti rinvenuti al suo interno, duecento ventinove lettere e manoscritti originali in cui il Vate comunicava ad Albina Becevello – sua cuoca personale o Santa Cuciniera, per dirla col Poeta – l’elenco di quanto avrebbe gradito consumare il giorno successivo, in occasione dei pasti.
Lettere che non sono passate inosservate a Cozza e De Carli che, intrapresa un’efficace collaborazione con il Vittoriale, hanno riesumato l’intera corrispondenza tra D’Annunzio e la Becevello, elaborando menù creativi su ispirazione di ciascun scritto, come quello che segue.
Alla Sacra Cucina.
Tre uova al tegamino.
Mezza oncia di formaggio.
Una pesca.
Una preghiera.
Menù che si dissocia da piatti ditirambici e ricette opulente come il Parrozzo abruzzese o il risotto alle rose, erroneamente attibuite al “Principe di Montenevoso” (semplicemente perché appartenenti a un’epoca storica o contesti vissuti dal Vate) e che – indagando la quotidianità del sommo poeta – focalizza l’attenzione sulla semplicità dei gusti di un uomo e sulla sua infinita passione per uova e carne di vitello – alimenti che non potevano assolutamente mancare nella dieta di Gabriele D’Annunzio.
Materie che dunque tornano coerentemente in menù di cinque portate in cui – nel caso specifico – un elemento semplice e versatile come l’uovo acquisisce il ruolo di protagonista assoluto: ottima la reinterpretazione dell’uovo al tegamino con acciughe tanto amato da Gabriele D’annunzio che, nell’elaborazione della coppia Cozza – De Carli “rinasce” con un Finto Uovo, in cui il tuorlo altro non è che un epocale zabaione salato con pasta di acciughe.
Piatti leggeri, apparentemente semplici e ancorati a una cucina comprensibile – pur celando lavorazioni complesse, come del resto lo era lo stesso pensiero dannunziano.
Una produzione epistolare che ha permesso agli chef del Ristorante Rose di trovare ispirazione per ricette sinceramente dannunziane in cui nulla è lasciato al caso: dalla suggestione dell’impaginato del menù – in cui compare la copia autografa delle lettere stesse – all’abbinamento al calice affidato alla sommelier Sandra Sanna, suggerito anch’esso sulla base a fonti e documenti originali.
Un’esperienza unica e irripetibile, caratterizzata da una ricerca appassionata e da una creatività poetica e a tratti spiazzante che ci rammenta quanto la cucina possa (anzi, debba) incarnare l’essenza di arte e cultura.