Quando nel 2000 visitai l’Esposizione mondiale d’Hannover pensai immediatamente che, se mai avessero dovuto organizzare questa manifestazione vicino a casa mia, sarei tornata e ritornata praticamente ogni giorno, per viverla e assaporarla nella sua interezza.
Il 1° maggio 2015 è iniziata a Milano l’Expo 2015 – il cui tema “nutrire il pianeta, è ormai noto ai più.
Cibo. Gastronomia. Per sintetizzare attraverso una banale metafora da foodblogger, “pane per i miei denti!”.
Di lì a pochi giorni ho acquistato i biglietti, convinta che quella sarebbe stata la prima di una serie di visite volte a conoscere, scoprire e vivere un’esperienza unica e che avrebbe potuto sintetizzare un giro del mondo che, certamente, non sarò mai in grado di compiere fisicamente.
Purtroppo le mie migliori intenzioni non sono servite gran che, in quanto sotterrate dalla realtà e da un continuo procrastinare degli impegni.
E così, rimanda oggi e rimanda domani, mi sono trovata a visitare l’Expo 2015 al 14 di ottobre, ovvero a diciassette giorni dalla chiusura definitiva dei cancelli.
A ottobre: nel mese dei ritardatari, dei pentiti, dei curiosi… degli “italioti”, insomma. In cui, ovviamente, rientro anch’io!
Demotivata dunque da immagini e notizie che circolavano sul web, con particolare riferimento a Facebook – teatro di condivisione selvaggia e regno dei tuttologi per eccellenza – mi sono appropinquata verso l’Expo, esattamente con la stessa indole che un condannato a morte può mostrare quando attraversa il miglio verde.
Ma fortunatamente mi sbagliavo. E ora, se avete voglia di mettere da parte i pregiudizi, bufale propinate dai tuttologi che mai si sono neppure avvicinati all’Expo e che hanno sindacato giorno per giorno su un evento mai visitato, vi racconto la mia esperienza:
Le code ci sono. Vero. Ma ci sono perché siamo agli sgoccioli e perché – come dicevamo – ottobre è il mese dei ritardatari. E non sono dappertutto: se non avete un’indole sadomasochista o autodistruttiva, potete tranquillamente scegliere di evitare quei padiglioni come il Giappone che impongono percorsi obbligati e a tempo (dovuti dalla proiezione di un filmato o da uno svolgimento – che si aggira intorno all’ora – di uno spettacolo) e concentrarvi sui cluster o sui Paesi minori che, con la loro semplicità, raccontano con chiarezza la storia di un Paese che, con buona probabilità, non avremo mai l’occasione di visitare.
Facendo delle scoperte illuminanti, ad esempio, che in Afganistan viene prodotto uno zafferano profumatissimo che nel 2013 si è aggiudicato il titolo di miglior zafferano al mondo. E lo zafferano, non possiamo non consumarlo – visti i suoi benefici contro le cellule tumorali e l’alzheimer.
Scoprendo la peculiarità dei Paesi in via di sviluppo e concentrandovi sulle aree tematiche e sui cluster. E ovviamente, non perdendovi – a mio avviso – uno degli spettacoli più belli: l’architettura esterna dei padiglioni che, soprattutto alla sera, acquista fascino e giocosa bellezza.
Ovvio. Gli aspetti negativi non mancano. Primo tra tutti l’innegabile antitesi tra il tema portante della manifestazione – Nutrire il Pianeta – e i brand delle multinazionali produttori di junk food e prodotti scadenti come Mc Donalds, Ferrero, Lavazza, Coca Cola in cui troppo spesso incappi. Ma se uno non è stupido e conosce le regole del marketing, sa perfettamente quanto spesso gli ideali debbano a volte essere accantonati, per consentire lo sviluppo di qualcosa di più grande.
O anche, l’inutile fiumana di studenti trascinati ad assistere a una manifestazione a loro avviso certamente meno interessante e divertente del lancio di un compagno dalla camera di un albergo: ma anche in questo caso, si sa che servono i numeri e coinvolgere le scuole, è la strada più breve.
O la truffa mediatica della Coop che, con il pretesto di presentarti come cambieranno le abitudini alimentari del consumatore del futuro e le sue esigenze, ti introduce in un supermercato “futuristico” e – fondamentalmente – ti induce a fare la spesa!
Ma, salvo queste eccezioni, sono tanti gli aspetti positivi e piacevoli che meritano almeno una giornata di visita.
E, per tornare al tema caro a Mangiare Dadio, tra le ragioni, spiccano cibo e ristoranti.
Che non sono cari!
Che vi offriranno la possibilità di assaggiare il vero cibo tipico dei Paesi, lontano dalle orrende proposte più commerciali che siamo soliti assaggiare nelle nostre città.
Qui di seguito un elenco dei ristoranti in cui vale la pena accomodarsi e gustare un buon pasto:
Messico
Iran
Corea
Repubblica Ceca
Beren
Angola
Repubblica di Corea
Cluster del Riso – Sierra Leone
Polonia
Ungheria
Romania
Quatar
Algeria
Dovendo scegliere, vi consiglio caldamente di non perdervi Messico e Iran.
Al ristorante Besame Mucho del Messico, lo Chef Angel Vazquez ci ha consigliato una Tostada di tonno pibil, Aguachile di capesante e tonno al peperoncino piccante, Polpo con salsiccia e patate calde in sottaceto e Lingua di manzo con verdure e salsa di avocado.
All’iraniano, ho invece avuto modo di provare il kebab di manzo più delicato e tenero mai assaggiato: servito con una freschissima polvere di limone secco, che mi ha aperto nuovi orizzonti verso la cucina del Medioriente.
Il tutto, per meno di 40 euro a testa. E a chi mi dice che è tanto, rispondo: “if you pay peanuts, you get monkeys”.
Ah… giusto per sfatare un altro luogo comune o bufala girata per circa sei mesi, l’acqua non solo non costa 3 o 4 euro a bottiglia: è GRATIS! e ci si può rifornire liberamente nelle diverse postazioni all’interno dell’Expo.
Quindi, mi raccomando… prima di lamentarvi, parlare o dissacrare, cercate di vivere l’esperienza. Regola che vale per l’Expo e più in generale, per la vita!
Reportage: photo credits © Lucio Elio