“Non chiamatemi Chef”.
Richiesta quantomeno opinabile se a pronunciarla è Ezio Gritti. Chef di fama e di talento indiscutibili, oltre che a grande sommelier, conoscitore e persona dalla sensibilità incomparabile.
Non è un caso se Olga Mangiagalli, quando lo chiamò agli albori per prendere le redini dell’Osteria di Via Solata, precisò: “Non voglio un cuoco. Voglio Ezio”.
Mi ritengo una privilegiata ad aver ricevuto e potuto leggere avidamente La mia impronta in cucina, libro che il grande Chef stellato Ezio Gritti, scelse di far stampare nel 2007 con una tiratura di appena millecinquecento copie.
E’ un libro che racconta… racconta di un percorso di vita; racconta di evoluzione; racconta di ricette; racconta di sentimenti e di importanti collaborazioni.
Racconta di come è cambiata la vita di un bambino che trascorse la sua fanciullezza “nelle ceste del pane”, come ama raccontare lui – ripensando alla sua storia, iniziata nel negozio alimentari di famiglia in provincia di Bergamo e proseguita tra sacrifici, senso del dovere e un pizzico d’incoscenza, sin lassù – nel firmamento delle stelle… Michelin.
Racconta dell’evoluzione di un autodidatta determinato e appassionato che, attraverso impegno e sacrificio, ha saputo realizzare il suo sogno, lasciando un’impronta indelebile nel panorama della ristorazione. E che, diciamocelo, ha lasciato un vuoto incolmabile nel nostro Paese e – in particolare – al civico 8 di via Solata, in Bergamo Alta.
E’ un libro che emoziona. Scorrendo le pagine, rivivi le tappe con Ezio, sorprendendoti ed emozionandoti, accompagnandolo nel cammino che lo ha condotto nel 2005 a ottenere la Stella Michelin o – nel 2007 – a rappresentare il tricolore al World Gourmet Summit di Singapore.
E’ un libro che racconta di Ezio e della sua evoluzione attraverso i suoi piatti e attraverso alcune sue indimenticabili ricette.
E’ un libro che non arriva a raccontare di quando – nel 2013 – Ezio ha colto un’occasione di iniziare la nuova avventura balinese con Solata Restaurant, lasciando – presuppongo con grande dolore – quella piccola perla ubicata in una via nascosta della città vecchia, senza alcun cartello che ne segnalasse la direzione. Una perla in cui, entrando, venivi inebriato da profumi, immagini e atmosfera. Un nido… una casa, in cui Ezio ti accoglieva con professionalità e affetto. E con lui, Nadia, Matteo e Michele. Un posto che non c’è più. Ma che continua a viverti dentro, come fosse – scomodando il genio di Bergman – il tuo “posto delle fragole”.