Il 2019 è agli sgoccioli e, come ogni anno, chi svolge il mio lavoro o semplicemtente è amate della buona tavola, si ritrova a ripercorrere le esperienze vissute in giro per l’Italia e a costruire un menù ideale, con quei piatti che per mille e più ragioni si sono fissati nella memoria, suscitando emozioni o piacere al solo pensiero. Così ho scelto di fare un breve ripasso dei momenti vissuti nel 2019 e trascrivere d’istinto i 12 locali visitati nel corso dell’anno che consiglierei di non perdere nel 2020.
Come? Proprio attraverso i piatti che maggiormente mi hanno colpito e che hanno lasciato un segno indelebile nel mio cuore (e sulle mie papille!).
Perché 12? Semplicemente perché ho immaginato un calendario virtuale di ristoranti imperdibili per il nuovo anno. Mese per mese.
Non dunque una classifica, ma una mini guida stilata su un gusto personale, e intorno a quelle esperienze capaci di suscitare lo stupore che solo un assaggio inaspettato e non scontato può offrire.
Va da sé che tutti i ristoranti visitati e raccontati tra le pagine di Mangiare da Dio e delle numerose collaborazioni restano oltremodo eccellenti. Ma ecco a voi, i magnifici 12…
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1. IL PIATTO
Cristiano Tomei, L’Imbuto – Lucca
In un mondo ideale Cristiano Tomei meriterebbe otto Stelle Michelin. Nell’attuale scenario confuso e senza proporzioni, non è esattamente così. Ma questo evidentemente non spodesta dall’Olimpo il genio dell’Alta Cucina Italiana, colui il quale ha importato nel Bel Paese il concetto di blind menù e che – dissacrando il candido universo del gourmet – ha coniato il termine ben più concreto ed esplicativo di “cucina scopativa”.
> Scopri Cristiano Tomei e il ristorante L’Imbuto
E se di “scopativo” vogliamo parlare, come non narrare dell’Ossobuco, piatto che vale il viaggio e che nella versione dello Chef viene inciso in verticale e scaldato sulla brace, quasi a bollirne il midollo al suo interno, successivamente ripassato in salamandra e servito con tartare di gamberi, spaghetti di seppia, polpa di riccio, scorza di limone, estratto di rosmarino e foglie di sedano. Sintesi esplicativa di ciò che possa realmente essere la “cucina scopativa” tomeiana che sul fieno (affumicato), trova la sua collocazione e immagine figurativa più agreste e bucolica. Picco assoluto di piacere, capace di coinvolgere ogni senso: quello della vista, appagata da una piccola opera d’arte; quello dell’olfatto, viziato dai piacevoli sentori dell’affumicatura del fieno; quello del tatto, indispensabile per godere sino in fondo dell’assaggio, e ovviamente, quello del gusto.
2. LA PASTA
Riccardo Camanini, Lido 84 – Gardone Riviera (BS)
Facciamocene una ragione: quando si tratta di primi piatti, nessuno tiene testa a Riccardo Camanini – chef e patron del Lido 84 – ristorante stellato premiato con il massimo riconoscimento dalle principali guide italiane (Gambero Rosso e L’Espresso) e vincitore dell’ambito premio l’ambito premio Miele One To Watch, assegnato nell’ambito di 50′ World Best Restaurants.
> Leggi la recensione del ristorante Lido 84
Celeberrimo in Italia e all’estero per piatti iconici come lo Spaghettone Burro e lievito e la Cacio e pepe in vescica, Camanini non cessa di documentarsi e appasionarsi ad antiche ricette, talvolta risalenti a un passato non troppo lontano, capaci di rievocare sapori, profumi e sentimenti di proustiana memoria. E’ il caso dello Spaghettino unto di rosso, provocazione al fine-dining moderno che, accantonando pomodori freschi e condimenti ariosi, ripesca concetti e abitudini della tradizione italiana degli anni cinquanta come il soffritto e il concentrato di pomodoro, attribuendo a essi il meritato valore. Il risultato è un piatto goloso e godereccio in cui non viene risparmiato il condimento di olio e cipolla e in cui il concentrato di pomodoro utilizzato è realizzato da un piccolo produttore siciliano che lo fa “come una volta”. Un piatto in cui ci si sporca la bocca (e, talvolta, anche la camicia) e in cui poco importano l’effetto visivo o la presentazione. Un piatto non indicato ai gastro-fighetti, capace di scuotere gli animi più algidi con la sua apparente semplicità volta a celare un procedimento a dir poco complesso e che prevede la realizzazione del soffritto, poi filtrato e unito al concentrato di pomodoro in una vaschetta d’acciaio riposta in forno per 24 ore a 80°, per poi passare al Pacojet. Il tutto, congelato una notte, poi frullato, e infine lasciato scolate, così da separare la componente solida dall’olio di pomodoro che – emulsionato con una parte uguale d’acqua – diverrà l’elemento di cottura dello spaghettino. E scusateci se è poco!
3. LA PASTA RIPIENA
Stelios Sakalis, Il Pievano al Castello di Spaltenna – Gaiole in Chianti (SI)
Partiamo dal presupposto che se dici “Italia”, dici “Pasta” e che dunque il nostro racconto non poteva limitarsi a una sola meta in cui gustare un primo sbalorditivo. Fatto sta che per stupirci dinnanzi al piatto emblema nazionale, dobbiamo affidarci a uno chef greco e originario di Salonicco che – divenuto toscano d’adozione ormai da diversi anni – ha saputo portare le proprie idee e la sua raffinata energia in uno dei luoghi più suggestivi di tutta la Toscana: il Castello di Spaltenna.
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Stelios Sakalis: ecco il nome da annotare! Lui che con i primi mostra di avere infinita affinità e che con Aglione – bottoni di grano arso ripieni di pecorino fresco, serviti con crema di aglio nero, pomorini confit e spugna di prezzemolo – propone un primo che fa gridare al “Miracolo!”, di indomabile grinta e in cui si distingue un gradevole sentore di liquirizia che, a fine pasto, pulisce e rinfresca il palato. Un piatto speciale, che si inserisce in un menù impeccabile, capace di confermare la Stella Michelin anche per l’imminente 2020.
4. IL RISO
Nicola Gronchi – Stella Michelin 2020
Era il 5 agosto 2019 quando riportavo in un articolo di aver assaggiato il risotto che “si autoproclama senza difficoltà alcuna come tra i migliori assaggiati in questo 2019”.
Il risotto era quello di Nicola Gronchi, chef carrarino che – a seguito dell’esperienza stellata presso il Bistrot di Forte dei Marmi, ha accettato la sfida di portare il suo talento (e la sua brigata) nel neo-nato Parco di Villa Grey. Risultato? Una Stella Michelin in poco più di sei mesi dall’apertura, due forchette Gambero Rosso e due Cappelli dell’Espresso. Peccato che, nel frattempo, la proprietà avesse scelto di interrompere uno dei progetti più promettenti dell’anno, chiudendo il ristorante guidato dallo Chef Gronchi. Resta però indiscutibile il talento e la professionalità di uno chef che – vi è da crederci – tornerà ben presto a far parlare di sé.
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Nel frattempo, impossibile non decantare il suo Risotto alla rapa con rafano, ricci di mare e sgombro marinato, un primo che non accetta compromessi e rompe gli indugi, mostrando un approccio alla cucina identitario e sensualmente aggressivo: un carnaroli dalla mantecata perfetta e dall’equilibrio esemplare di ogni singolo ingrediente. Un piatto avvolgente, cremoso ed emozionante, capace di suscitare emozione e provocare un brivido di puro piacere.
5. IL QUINTO QUARTO
Solaika Marrocco, Primo Restaurant – Lecce
Prendete carta e penna e segnatevi questo nome: Solaika Marrocco.
Poi annotatevi l’indirizzo: via 47° Reggimento Fanteria 7 a Lecce. E prenotate, mi raccomando!
Perché con gli appena 16 coperti disponibili al Primo Restaurant non è poi così scontato riuscire a trovare posto! Merito di una formula vincente, voluta da Silvia Antonazzo e Marco Borelli, fondatori del ristorante e responsabili di Sala e Cantina. In cucina, tutta la freschezza della giovanissima Solaika, 24 anni e una proposta che non ti aspetti, capace di pescare dalla tradizione e riproporla nel piatto attraverso idee inaspettate.
A lei l’onore di aver soddisfatto più di tutti le aspettative di una “fanatica” del quinto quarto, come la sottoscritta: le sue Animelle all’ arancia e gamberi rossi crudi di Gallipoli servite con olio al timo e maggiorana sono una bomba di piacere. Piatto coraggioso, alternativo e capace di assumersi dei rischi vincenti, dando forma a una portata dalla consistenza perfetta e dagli abbinamenti sapientemente intriganti. Proposta che va inserirsi in un percorso degustativo assolutamente da vivere, e che conferma e sostiene il merito del recente premio assegnato dalla Guida del Gambero Rosso quale Miglior Cuoco Emergente a Solaika Marrocco.
6. LA CARNE
Marco Cozza e Andrea De Carli, Rose Salò – Salò (BS)
Rompiamo gli indugi: i secondi restano il tallone d’Achille per la ristorazione italiana. Un po’ per la vocazione nazionale verso primi e carboidrati in genere; in secondo luogo per la collocazione che spetta a queste pietanze all’interno di una degustazione, costrette a entrare in scena a seguito di primi piatti golosi e oltremodo soddisfacenti. Cosa si chiede dunque alle proteine, per risalire nell’indice di gradimento del commensale? Probabilmente gusto, leggerezza e – soprattutto – la capacità di sorprendere.
Lo hanno capito perfettamente i giovani chef del ristorante Rose Salò che, con grande intelligenza e vocazione culturale, hanno costruito menù ispirati al territorio e alla componente botanica.
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Tra i secondi, appunto, applausi per Salnitro, un Carpaccio di controfiletto di pecora della Val Camonica, brodo bruciato, daikon, acetosella ed estratto di lattuga di mare; un piatto che trae ispirazione e nasce dalla storia della serenissima repubblica veneziana di cui la Lombardia faceva parte: secondo fonti storiche, nel XV secolo i veneziani richiedevano grandi quantitativi di salnitro – di cui la provincia di Brescia era ricca – un minerale estratto dalla terra, necessario alla produzione della polvere da sparo. Il salnitraio (una sorta di chimico dell’epoca preindustriale) sceglieva un terreno ricco di calcio e fosforo (elementi di cui, non a caso, è ricca la lattuga di mare) in cui far pascolare le pecore che, grazie alla pastura, trasformavano gli elementi originari del terreno in ammonato di calcio che – a seguito di un trattamento chimico – veniva trasformato in salnitro. Un capitolo di storia che Marco Cozza e Andrea De Carli ripropongono in una sintesi in cui passato e presente trovano un punto d’incontro e in cui è evidente l’approccio tipicamente marchesiano, votato alla cultura.
7. IL PESCE
Peppe Stanzione, Glicine dell’Hotel Santa Caterina, Amalfi (SA)
Sarà per i motivi sopracitati, ma anche la componente salmastra sembra spesso ritrovare la sua massima espressione a crudo, con lavorazioni minimal, attraverso l’esaltazione della materia nella sua essenza.
E se dici “pesce”, dici “sud Italia”, dove – in uno degli scenari più affascinanti della Costiera Amalfitana ha recentemente cucito la Stella Michelin sulla giacca Giuseppe Stanzione – chef dell’Hotel Santa Caterina di Amalfi.
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Di inenarrabile bontà lo spaghetto di seppia servito con cetriolo, nero di seppia e limone salato, preparazione tipica della Costiera e che Stanzione propone ai massimi livelli grazie ai frutti biologici provenienti dall’agrumeto del Santa Caterina.
8. IL VEGETALE
Alessandro Martellini, Suinsom del Tyrol Hotel – Selva di Valgardena (BZ)
L’elemento vegetale è probabilmente la sfida più grande per uno chef. In quanti, infatti, riescono con successo a valorizzarne la qualità senza da un lato proporre un piatto da ospedale o, di per contro, annullarne la personalità a causa di coperture o sovrapposizioni di sapore? In quanti riescono a intraprendere quel sentiero portato avanti con successo dal grande Pietro Leemann, mantenendo però forte la propria identità e la propria impronta di cucina?
“Quanti” non lo sappiamo; ciò di cui invece siamo certi è che per emozionarsi dinnanzi a un piatto realizzato con la materia tra le più semplici della cucina, è necessario recarsi allo splendido Tyrol Hotel di Selva di Val Gardena, e lasciarsi conquistare dalla cucina dello chef Alessandro Martellini.
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Infatti, tra le proposte in carta, plauso speciale alla Cipolla cotta sotto sale e servita con fonduta di pecorino toscano e maggiorana: massima esaltazione di un elemento povero, elevato a regale magnificenza e sintesi perfetta di quella commistione tosco-altoatesina che caratterizzza il progetto del Tyrol Hotel.
9. IL DESSERT
Alessandro Di Gennaro, Quintessenza – Trani (BT)
La mia algida passione per i doci è ormai nota! Quando dunque accade che un dessert riesca a sconvolgermi positivamente, vi è da prendere nota per catapultarsi alla volta di quel ristorante e di quel pastry-chef. A Trani – capitale del gusto pugliese – si trova il ristorante stella Michelin Quintessenza e realtà familiare condotta magistralmente dai fratelli Di Gennaro.
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Qui Alessandro, il più giovane di casa e pastry del ristorante, gioca mettendo in scena trompe l’oeil o ricreando evocative opere d’arte: indimenticabile la Ciliegia, grande esempio di pasticceria in cui il tipico frutto estivo viene presentato in differenti lavorazioni e consistenze e laddove leggerezza e freschezza prendono il sopravvento, consentendo una chiusura del pasto, con totale soddisfazione.
10. IL PIATTO DELLA MEMORIA
Marcello Trentini, Magorabin – Torino
Ogni chef ha in carta un piatto della memoria. Ma non è detto che le emozioni che dovrebbero vivere in quella ricetta possano catturare il commensale con il dovuto pathos.
L’esercizio riesce invece alla perfezione a Marcello Trentini, il Magorabin di Torino che – ripescando tra i profumi e i sapori della propria infanzia – rievoca e ferma quell’attimo in cui, con papà, preparava quel piatto facile e veloce. Il piatto in questione è riportato in carta come Spaghetti / Pane / Burro / Acciughe e rappresenta un’evoluzione di quel primo sfizioso in cui il burro e l’acciughina – protagonista assoluta della Bagna Caoda piemontese – avvolgevano soavemente i tajarin. Un piatto che Trentini mantiene in carta da quasi dieci anni e che, dopo innumerevoli mutazioni, si presenta oggi come un tagliolino all’acciuga mantecato, impreziosito da polvere di pane integrale.
11. IL FOOD PAIRING
Anima Romita, Crema (CR)
E’ la tendenza del momento cavalcata da molti, non sempre con i risultati desiderati. Sì, perché si fa presto a dire “food-pairing”, pensando che sia sufficiente servire un miscelato in abbinamento a un piatto per aver intrapreso la tendenza più cool degli ultimi tempi. Ecco, non è così, a meno che non vi troviate da Anima Romita, splendido locale situato nel centro di Crema ove, oltre a poter gustare pizze e lievitati eccezionali – nati dallo studio e dalla sperimentazione del titolare Fortunato Amatruda in collaborazione con il piazzaiolo Antonello Fedullo – vengono serviti cocktail imperdibili studiati e realizzati dal bartender Simone Bulla che, stagionalmente, rinnova una carta votata a un’esclusiva varietà e a una coerente selezione.
12. LA COTOLETTA (Premio Speciale by Lucio)
Marco Cozza e Andrea De Carli, Rose Salò – Salò (BS)
Ogni guida ha il suo “Premio Speciale”. Quindi, non potevamo terminare il nostro panflait gastronomico con “The Best Cotoletta”, sancita ovviamente dal massimo esperto sul tema.
Perché la preferenza è andata a quella del Rose Salò?
Riportiamo il commento di Lucio: «Questa cotoletta mi è piaciuta tantissimo perché aveva la coda ed era super buona. Poi lo chef mi ha fatto assaggiare i funghi, che non avevo mai mangiato e mi sono piaciuti. Però, la prossima volta vorrei anche il ketchup».
Photo credits © Lucio Elio
La foto dello “spaghettino unto di rosso” è gentilmente concessa dal Lido 84