Tradizione e innovazione.
Negli ultimi anni, sembra questo il tema dominante nel panorama gastronomico mondiale.
Tradizione e innovazione, quasi come se un concetto fosse la nemesi dell’altro, ignorando quanto yin e yang non potrebbero neppure esistere senza il proprio opposto, e soprattutto senza valutare che ogni tradizione scaturisce sempre da un’innovazione.
Anche vero è, che non non tutte le innovazioni riescono a concretizzarsi in qualcosa che possa lasciare un segno duraturo, svanendo spesso in esercizi meramente stilistici e lasciando scie impercettibili del proprio passaggio.
Viene dunque da interrogarsi su quale sia la formula vincente per cui un elemento innovativo – nello specifico contesto, un piatto o una ricetta – possa subire una naturale metamorfosi che lo porti a imporsi nel tempo, assumendo – poco per volta – i caratteri forti e duraturi della tradizione.
Su questo tema si è dibattuto in occasione del congresso di Identità Golose 2019, che toccando a più riprese questo scontro/incontro temporale e concettuale, ha stimolato un’iteressante dibattito tra i protagonisti dell’Alta Ristorazione su quale sia la strada ideale per “costruire nuove memorie“.
Poiché, come sosteneva il politico francese Jean Jaurès, “La tradizione non consiste nel conservare le ceneri ma nel mantenere viva una fiamma”.
Un tema che porta in sé un concetto antitètico e che stimola a ragionare su quale sia la giusta via per lasciare nuove tracce, attingendo da elementi quali storia, cultura, apertura.
Un tema che trova il suo habitat naturale nella cucina e più che mai in una nazione come l’Italia, e che merita di essere dibattuto con alcuni dei massimi esponenti della nostra ristorazione.
Cinque esponenti individuati per diversità e indagati nella loro unicità, per poi concludere l’incontro con un auspicio comune sul futuro.
Riccardo Camanini – Lido 84, Gardone Riviera (BS) * Michelin
Il tema dell’edizione 2019 di Identità golose è “Costruire nuove memorie”. Un tema che sembra proprio costruito su di te e sulla tua cucina, in cui i piatti nascono spesso dalla memoria, dallo studio e dalla tradizione. Ne sono un esempio il tuo piatto icona – la Cacio e pepe in vescica – ricetta che parte dal folklore della nostra penisola o dai più recenti esperimenti di Fernard Point – o il più recente Spaghetto unto di rosso, che chiama a rapporto ricordi freudiani di ciascuno di noi. Qual è la formula, in questo panorama ricco di protagonisti, per essere ricordati?
«E’ un tema molto complicato a cui non è semplice rispondere poiché, se ci fai caso, sono pochissimi i nomi del secolo scorso, ad aver lasciato una traccia tangibile nella storia della gastronomia. Ovviamente, ciascuno lavora con l’ambizione di lasciare una traccia del proprio operato. Ma non è sempre così scontato riuscirci. Io non credo esistano ricette particolari per arrivare a ciò, ma il mio suggerimento resta quello di abbinare la propria personalità allo studio, dando forma così a un altissimo lavoro di artigianato. Ecco, è forse questo l’aspetto che merita di essere messo a fuoco profondamente: siamo abili artigiani ed è questo su cui non dobbiamo smettere di lavorare. Al contempo, credo sia importantissimo cominciare ad accantonare lievemente la tecnica, e lasciare sempre più spazio all’emotività e alla personalità, razionalizzando l’idea di un piatto attraverso la propria gola e filtrandone il risultato proprio attraverso questo senso».
Cosa vorresti si dicesse e fosse ricordato di te, tra trent’anni?
«Mi piacerebbe che venisse ricordato quanto effettivamente ho saputo dare attraverso l’insegnamento, trasmettendo in maniera concreta e rigorosa un mestiere che verrà costruito anche grazie al passaggio di sapere e conoscenza. Ecco, non mi dispiacerebbe essere ricordato così!».
Giorgio Locatelli – Locanda Locatelli, Londra (UK) * Michelin
Durante la messa in onda di Masterchef 8, lei rievoca spesso la figura della nonna, e gli stimoli che le ha lasciato per poi intraprendere la professione di chef. Quanto contano valori e radici per costruire qualcosa di duraturo?
«Innanzitutto credo sia una grande fortuna poter dire di avere delle radici: purtroppo non tutti le hanno e, nonostante possano avere tutte le carte in regola per avere successo nella vita, credo che avvertirne la mancanza possa rappresentare un grande vuoto. Mia nonna è stata una figura importantissima per me. Nonostante se ne sia andata da tanti anni, mi capita spessissimo pensare a lei e agli insegnamenti che mi ha trasmesso: nonna era una persona felicissima, sempre e comunque, nonostante vivesse alla giornata, con pochi mezzi e senza alcun controllo sull’avvenire. Ancora oggi, quando do vita a un piatto mi interrogo su cosa potrebbe pensarne lei. e soprattutto cerco di ritrovare il contatto con i suoi valori, replicandoli nel mio lavoro quotidiano. Del resto, la memoria è proprio questo e possiamo tenerla accesa soprattutto grazie alle emozioni».
Cosa vorrebbe si dicesse e fosse ricordato di lei, tra trent’anni?
«Mentirei se dicessi che non mi importerebbe essere ricordato per un piatto: ogni chef desidererebbe che una sua creazione divenisse un piatto replicato dalle generazioni future. Ma soprattutto, mi piacerebbe essere ricordato per aver saputo rimanere me stesso e per aver portato avanti tutta la vita la mia passione e ciò che amavo fare».
Mario Uliassi – Uliassi, Senigallia (AN) *** Michelin
Un’avventura iniziata nel 1990 e che oggi lascia parlare i numeri: 3 stelle Michelin, 5 cappelli Espresso, 3 forchette del Gambero Rosso. La costante di questa bella avventura, la famiglia. Che valore ha, questa tipologia di modello, nella costruzione di qualcosa capace di resistere nel tempo?
«Innanzitutto l’insegnamento che ci è stato lasciato da una famiglia che si è fatta da sola: papà aveva origini contadine, mentre mia madre proveniva da una famiglia di commercianti. Entrambi ci hanno trasmesso valori fondamentali tra cui quelli legati alla terra e all’onestà; piccole perle di saggezza che ci hanno formato attraverso un’etica speciale che ancora oggi cerchiamo di trasferire in tutto ciò che facciamo, persino nel successo che – come diceva Ennio Flaiano – altro non è che “il participio passato del verbo succedere”, e quindi è qualcosa di andato! Insomma, meglio vivere il presente, dando il massimo di cui siamo capaci! E’ il modo migliore per essere focalizzati e ottenere buoni risultati. Mia madre era così e – da questo punto di vista – vedo tanto di lei in me e Catia».
Cosa vorrebbe si dicesse e fosse ricordato di lei, tra trent’anni?
«Non ne ho la minima idea! Proprio per quanto appena detto: sono talmente focalizzato sull’adesso che è qualcosa su cui proprio non riesco a interrogarmi!».
Cristina Bowerman – Glass Hostaria, Roma * Michelin
Una pugliese trapiantata a Roma, diplomata in lingue, una doppia laurea e una grande passione per i viaggi. Visto il tuo percorso affascinante, cosa significa per te, “Costruire nuove memorie”?
«Significa elaborare ciò che mi ha conquistato e contagiato, filtrandolo e riplasmandolo attraverso la mia sensibilità, la mia visione e la mia personalita. Riflettendoci, è quello che faccio quotidianamente attraverso gli ingredienti, per dare forma alla mia cucina».
Cosa vorresti si dicesse e fosse ricordato di te, tra trent’anni?
«Bella domanda… Mi piacerebbe essere ricordata come un “role model” al femminile; una che ce l’ha fatta in un ambiente prettamente maschile, contro tutte le difficoltà incontrate e restando fedele alle proprie idee; un esempio, un modello professionale che racconti di quanto tenacia e grinta spesso possano aiutare in un mondo che non sempre agevola il nostro sesso. Certo, ovviamente mi auguro che tra trent’anni la situazione sociale non sia più in disequilibrio come quella attuale; ma questo anche grazie a chi come me si è impegnata tanto».
Solaika Marrocco – Primo Restaurant Lecce
23 anni, tra i più giovani protagonisti di questa edizione di Identità Golose 2019. Probabilmente tra le persone più indicate per parlare di “futuro”. Ti faccio dunque saltare sulla macchina del tempo e ti proietto nel 2050: cosa rimarrà di quanto stiamo costrunedo al giorno d’oggi, a livello ristorativo?
«Io sono convinta che oggi come in futuro si prenderà sempre più atto del peso e dell’importanza della tradizione, riproponendo nel piatto quelle che sono le nostre radici, interpretandole con gli strumenti della modernità. A ben pensarci, è ciò che io sto mettendo già in atto oggi, nella speranza di contribuire alla realizzazione di questo tipo di scenario».
Cosa vorresti si dicesse e fosse ricordato di te, tra trent’anni?
«Credo che il desiderio vero sia quello di essere ricordata per aver costruito qualcosa di importante e aver lasciato un’impronta tangibile del mio percorso».
Photo Credits Brambilla Serrani Lucio Elio, Fabio Lovino, Marco Varoli, Lido Vannucchi