Intervista a Chef Carlo Cracco, l’unico, il solo
Carlo Cracco, ovvero lo Chef italiano più famoso del nostro Paese. E non solo.
Basterebbe questo per raccontare di un professionista di cui si è praticamente detto e scritto tutto.
Troppo, in talune circostanze…
Classe ’65, vicentino naturalizzato milanese, Carlo Cracco muove i primi passi in cucina giovanissimo. Poco più che ventenne innesca le sue prime esperienze a fianco di grandi chef stellati del calibro di Gualtiero Marchesi e Alain Ducasse. Poi il resto è storia nota: l’approdo all’Enoteca Pinchiorri di Firenze che, sotto la sua conduzione, acquisisce la terza Stella Michelin e poi ancora a fianco del Maestro Marchesi all’Albereta di Erbusco. Ovunque passi Cracco, si accende una Stella nel firmamento gastronomico, sino all’opportunità definiva, quella agli inizi del nuovo millennio, quando inaugura il ristorante Cracco Peck a Milano, dove lavora in qualità di executive chef fino al 2007, anno in cui diviene Patron e il ristorante “semplifica” il suo nome in Cracco. Con il suo arrivo, il ristorante guadagna 2 stelle Michelin, colleziona Cappelli e Forchette e viene riconosciuto nella classifica dei migliori 50 ristoranti da Repubblica.
Da questo momento, Carlo Cracco è uno Chef bistellato di grande talento. Ma non solo: è anche giovane e affascinante.
Il prossimo passo, non può che essere il successo.
Nel 2011 arriva la televisione con Masterchef, di cui sarà giudice e volto di riferimento per sei edizioni. Nel frattempo, si aggiunge Hell’s Kitchen, gli sponsor, la pubblicità, gli eventi, le ospitate e tutte le opportunità che gli consentono di pubblicare innumerevoli libri, fondare l’Associazione Culturale Maestro Martino, aprire ristoranti come Carlo e Camilla in Segheria – il progetto più giovane e smart su Milano – e Ovo, ristorante dell’hotel Lotte di Mosca.
A questo punto, tutti conoscono Carlo Cracco. Tutti ne parlano – bene o male, non importa – chiunque si sente legittimato a giudicarne la cucina, pur non conoscendone la filosofia di sintesi o la ricerca incalzante; pur non essendosi mai accomodati alla sua tavola e aver assaporato capolavori come il” rognone con ricci di mare”, il “tuorlo marinato” o i “tagliolini di riso con salicornia e caviale”.
Tutti ne parlano.
E per la legge del “purché se ne parli”, una cosa è assodata: Carlo Cracco è uno dei personaggi più affermati e popolari d’Italia.
Lo è per la “Sciura Maria”, che impara a sgrezzare la cucina di tutti i giorni e un approccio nuovo verso il gusto.
Lo è per i giovani che – ridimensionati fenomeni e riferimenti come musicisti o calciatori – cominciano a intravedere fascino e opportunità anche nella professione dello Chef.
Lo è per gli stessi colleghi, che da questo momento vivono di riflesso un rinascimento della professione e dell’immagine, troppo a lungo screditata a vantaggio – ammettiamolo – del ruolo imperante della Sala e del MaÎtre d’Hotel.
Lo è per gli sponsor e i media, che se lo litigano a suon di ingaggi.
E cosa fa Carlo Cracco, all’apice della “gloria”? Semplice: dice “Basta!”, per lo meno al piccolo schermo e annuncia l’apertura del nuovo progetto, il ristorante Cracco in Galleria Vittorio Emanuele II a Milano.
Un nuovo capitolo che porta con sé una nuova Era, che non rinnega di certo la precedente (anzi, molti dei progetti proseguono con il meritato successo, e se ne aggiungono di nuovi come “Garage Italia” in società con Lapo Elkann), ma che guarda avanti verso orizzonti inesplorati in cui, ogni singolo passo può ora concedersi una veste più confidenziale, come un ristorante di 1.300 mq disposti su cinque piani, che racconta del suo sogno e di quello della moglie Rosa – sposata dopo dieci anni di unione, pochi mesi prima dell’apertura.
Un personaggio che ci siamo sempre abituati a “conoscere” attraverso lo schermo. Ma in quanti di noi si sono soffermati anche solo per un istante, per capire chi sia realmente Carlo Cracco?!
È questa la ragione che ci ha spinto a oltrepassare quella barriera e raggiungerlo nel suo nuovo ristorante in Galleria per rubargli qualche minuto del suo tempo e comprendere l’animo più intimo di Carlo Cracco. Tempo che lui gentilmente ci concede, nonostante i numerosi impegni e l’imminente partenza per la stagione estiva al Forte Village in Sardegna.
Tempo in cui ci viene offerta una prospettiva differente. E lo spunto a continue riflessioni.
D: «Il suo celebre Maestro Gualtiero Marchesi sosteneva che “la cucina fosse di per sé scienza e che stesse al cuoco farla diventare Arte. Cos’è per Carlo Cracco la cucina?»
R: «Il cibo è Vita! Ed è certamente tutta la mia vita! Se ci pensi, il cibo è di per sé stesso elemento vitale, ma nella mia visione e nell’approccio con esso, da sempre rappresenta l’elemento centrale su cui impostare sfide e obiettivi. Il cibo non è semplicemente nutrimento, ma è un elemento che ci consente di stare bene: se mangio bene sto bene, e se sto bene posso lavorare meglio! O ancora, se desidero togliermi un piacere o celebrare qualcosa o qualcuno, la tavola è sempre il contesto giusto: attraverso la cucina ci si racconta, ci si dona e si da sostanza al valore del rispetto».
D: «Dunque, il valore più importante?».
R: «Beh, l’ho appena detto: il rispetto! È quella ricchezza che coinvolge tutto e tutti, in cucina, come nella vita: non solo il rispetto per il cibo, ma anche per chi mangia, per chi lavora, per chi ci mette passione: dall’agricoltore che coltiva la terra, a chi riconosce in un piatto una storia di passione».
D: «Le regaliamo del Tempo. Come lo spende?»
R: Tempo… (SOSPIRA E SI PRENDE UNA PAUSA. POI SI LASCIA SCAPPARE UN SORRISO). Partiamo dal presupposto che a me mai nessuno ha regalato nulla e che mi sono sempre costruito tutto da solo! Naturalmente lo trascorrerei con la famiglia e con le persone che amo. Il tempo libero non può non essere associato al relax e alla possibilità di ritrovare determinate coordinate che a volte rischiamo di perdere nella frenesia del nostro quotidiano».
D: «Chef, cos’è l’avanguardia?»
R: «L’antitesi di ciò che viviamo oggi, un momento storico in cui a volte ho la sensazione che si vada indietro di secoli, piuttosto che progredire. Probabilmente, per come la intendo io, l’avanguardia è la capacità di guardare oltre e cogliere particolari o visioni impercettibili ai più, assimilandoli, interpretandoli e riproponendoli».
D: «Come tutti coloro che hanno scelto questa professione, ha iniziato giovanissimo. Ricorda come ha speso il primo stipendio?»
R: «Premetto che il primo stipendio è arrivato abbastanza tardi, poiché ai miei tempi non iniziavi a guadagnare sin da subito, se non con qualche piccola mancia! Se la memoria non mi inganna, avevo quindici anni quando ricevetti la prima vera retribuzione e ricordo perfettamente che la diedi in casa a mamma e papà».
D: «Confessi un vizio»
R: «Ne ho diecimila (RIDE), ma non posso dirveli tutti! Più che altro, ho un grosso difetto, ovvero, che non sono mai soddisfatto di nulla. Insomma, non mi sembra mai abbastanza. E soprattutto, ogni nuovo avvenimento lo vivo non come un traguardo, ma come l’inizio di una nuova avventura».
D: «Da qualche anno a questa parte, soprattutto grazie a lei, in molte scuole alberghiere, c’è una lista d’attesa infinita per imparare il mestiere. Cosa consiglierebbe a un giovane che sceglie di approcciarsi a questo lavoro?»
R: «Innanzitutto di girare il più possibile, tra Italia ed estero e cercare di apprendere sino allo sfinimento, perché non sarà mai abbastanza! Inoltre, e soprattutto, di iniziare presto! Oggi i giovani italiani affrontano il mondo del lavoro troppo tardi; e questo li penalizza non poco rispetto alla “concorrenza” estera. Non dico che i ragazzi che vengono da fuori siano preparati meglio, ma che abbiano più “scuola di vita” e più “bagaglio” certamente sì. Quello che dovremmo fare, è lavorare sulle mentalità: ragazzi che escono prima da casa e che vengono abituati in giovane età a viaggiare e a conoscere, avranno menti più aperte e maggiore capacità di apprendere. Probabilmente, ciò che servirebbe, sarebbe tornare alle vecchie abitudini, come quando ero ragazzo io, che a quattordici anni ero già tra le stufe della cucina. Iniziare dopo i vent’anni è ovviamente penalizzante, soprattutto se ci si confronta con ragazzi che magari hanno un lustro di esperienza professionale alle spalle. Tutto qui».
Un Carlo Cracco pacato, pragmatico a tratti saggio. Indubbiamente differente dall’immagine più superficiale e distorta di cui, in molti, si sono accontentati sino a oggi. E che ci insegna come un sogno possa essere inseguito: con tenacia, tante idee, i giusti valori e la capacità di circondarsi delle persone giuste. Ricordandoci, come la conoscenza e l’apertura sia sempre alla base di tutto.