Intervista a Chicco e Bobo Cerea del ristorante Da Vittorio
In Italia sono solo otto i ristoranti tri-stellati Michelin. E tra questi, ve n’è uno che da 50 anni, porta avanti con onore una tradizione famigliare che con cura e dedizione, ha saputo tenere alta la propria reputazione, innovandosi con eleganza e proponendo una cucina raffinata mai scontata e in continua evoluzione.
È il Ristorante Da Vittorio della famiglia Cerea. Un ristorante che non ha bisogno di presentazioni e che dal 1966, ha collezionato numeri e riconoscimenti senza pari: prima stella Michelin conquistata nel 1978, sino al raggiungimento della terza nel 2010.
Tre Forchette Gambero Rosso, Tre Cappelli de L’Espresso, immancabile la sua presenza in tutte le principali guide mondiali: da Taste the World, a Les Grandes Tables du Monde; da Relais & Châteaux a Euro-Toque. Menzionato tra i dieci migliori ristoranti del mondo dalla francese Liste, e presente sul podio dei migliori ristoranti di lusso italiani, anche per il polemicissimo e incontentabile Trip Advisor.
Una storia iniziata con sacrificio e convinzione da Vittorio Cerea e dalla moglie Bruna che, un passettino per volta, hanno saputo creare una proposta unica, fatta di qualità, eleganza e innovazione. Una proposta in continua evoluzione e che ha dato vita – giorno per giorno, anno dopo anno – un esempio virtuoso nella ristorazione e non solo. Dai più conosciuto come ristorante tri-stellato, Da Vittorio è un sistema di offerta food e di accoglienza ampio e articolato, che spazia dal Relais & Château, ai servizi esterni, ai grandi eventi, al Risto Golf, al bistrot di Orio, alla pasticceria Cavour di Bergamo alta, alla ristorazione collettiva. Una famiglia grande, ventisette anime, e unita. Chicco e Bobo ai fornelli, Rossella in sala e all’accoglienza, Francesco agli eventi esterni, Barbara alla Pasticceria Cavour di Bergamo alta, mamma Bruna al “controllo di gestione”, anche degli equilibri familiari, mogli, mariti e nipoti che aiutano in cucina, in sala e in pasticceria. Da Vittorio è un’azienda sana, con una reputazione di altissimo livello, con alti valori etici, che nascono da un racconto d’amore.
Oggi in cucina ci sono loro: Enrico e Roberto. O Chicco e Bobo, per gli amici. E non solo per loro. Chicco e Bobo, due nomi impossibili da scindere nell’immaginario collettivo e che io scelgo di intervistare con una delle mie classiche “interviste doppie”, al fine di comprendere le personalità dei Cerea Brothers. Così simili; così diversi.
D: «In una recente intervista, mamma Bruna racconta che quando eravate bambini, al rientro da scuola, lanciavate lo zaino e subito vi catapultavate in cucina. Mai pensato, quando eravate piccini, di fare altro nella vita, tipo l’astronauta, il pompiere o il calciatore?»
R (Chicco): «Ho sempre amato moltissimo gli animali e probabilmente c’è stato un momento in cui ho sognato di fare il veterinario. Ma quando ero bambino, il locale aveva bisogno di noi tutti e se c’è una cosa che ci hanno trasmesso mamma e papà, è il senso del dovere. Un senso del dovere che, mano a mano e in maniera del tutto naturale, si è trasformato in un sentimento di pura passione e, nel momento in cui ho capito che attraverso un piatto o una ricetta riuscivo a comunicare il mio entusiasmo, non sono stato più capace di fermarmi. E per questo, devo ringraziare soprattutto loro, i miei genitori».
R (Bobo): «Sai, a 11 anni, quando tutto è cominciato, non avevo certamente le idee chiare su cosa avrei voluto fare nella vita. Forse, verso i 15 cominciai a intravedere delle possibilità nella carriera sportiva, poiché eccellevo nel judo e le associazioni mi facevano il filo. Ma il senso del dovere ha sempre avuto la meglio e poi, diciamocelo, quello che facevo mi piaceva, vedevo che i riusciva, e non mi è mai pesato in alcun modo».
D: «Quando papà Vittorio nel ’66 aprì il ristorante a Bergamo, stupì tutti con l’innovazione del pesce, in una città molto radicata alla sua tradizione e ammettiamolo, poco curiosa e aperta verso il nuovo. Oggi, vi viene riconosciuta un’eccellenza a 360°, dalle carni ai dolci (la Guida Pasticcerie d’Italia del 2017, menziona il vostro Simone Finazzi come il miglior pastry-Chef d’Italia). Qual è il sentimento che più di tutti vi spinge a non fermarvi mai?»
R (Chicco): «La fame di curiosità. E se è vero che “la fame vien mangiando”, come puoi fermarti?! Io, perlomeno, ho sempre più appetito…».
R (Bobo): «Credo il senso di appartenenza a una squadra che non smette di contare su di te!».
D: «Appunto: osservandovi e rifacendoci alla vostra saga famigliare, un elemento è chiaro: la forza del Team! Qual è il segreto?»
R (Chicco): «Principalmente i valori comuni che si rifanno in maniera intrinseca a quelli della mia famiglia e della serietà sul lavoro. Qui in Cantalupa siamo più di cento persone e ciascuno è parte della nostra famiglia. Condividere un progetto o un obiettivo è fondamentale, per non mollare mai!».
R (Bobo): «L’hai detto tu: è un Team! E quindi, come per ogni squadra, il segreto è il continuo allenamento. È l’allenamento che ti tiene vivo e che genera una sorta di motivazione virale… contagiosa! Osservare i tuoi compagni che si impegnano, ti sprona a non fermarti mai, per non rimanere indietro e non perdere il passo».
D: «Tu e tuo fratello. Più simili o complementari?»
R (Chicco): «Decisamente complementari! Io tra i due sono il più puntiglioso; Bobo invece è più morbido nell’approccio e questo rende il nostro tutto, in perfetto equilibrio. ».
R (Bobo): «Assolutamente complementari! Chicco è decisamente più delicato e leggero. Io più goloso e godereccio. Non si vede?!?». (RIDE)
D: «Mettiamola in musica: la tua cucina è classica, rock, jazz o cosa?»
R (Chicco): «Come la buona musica, non può non partire dalla classica. Di indole, sono uno che sceglie di non precludersi a nulla, soprattutto se bello e di qualità. E soprattutto, amo conoscere, sono curioso: perché la conoscenza, è ciò che ti fa affrontare ogni cosa. Così ci si apre a ogni tendenza e a ogni innovazione, valutando se assimilarla oppure no. E così, in maniera molto spontanea e naturale, la mia cucina può divenire anche pop e fusion, ma per mia scelta e con l’incessante fil-rouge della qualità. ».
R (Bobo): «Sicuramente fusion! Mi piace pensare di incontrare il più possibile il gusto del cliente».
D: «In che cosa assomigli di più a tuo padre e in cosa ti differenzi maggiormente»
R (Chicco): «Non saprei… di lui ricordo una precisione e una serietà sul lavoro senza pari, bilanciata da un’assoluta leggerezza e positività nel privato e nel tempo libero. Il confronto se vogliamo è continuo, ma mi è impossibile stabilire con convinzione quali siano le analogie tra noi due. Ciò che so, è che è da sempre un esempio per me e per ciò che faccio.».
R (Bobo): «Non lo vedi?! Nella stazza! (RIDE) Scherzi a parte, noi cinque fratelli insieme, non faremo mai un solo Vittorio!».
D: «L’attuale location – La Cantalupa – è frutto del sogno di tuo padre. L’ultimo sogno che, purtroppo, non è riuscito a vivere. Vittorio Cerea è però sempre qui e vive anche in alcune proposte storiche della carta. Ma fingiamo per un attimo che papà ora rientri da quella porta e voglia capire che Uomo sia diventato suo figlio. Che piatto gli prepari?»
A questo punto Chicco si ferma. È visibilmente commosso e gli occhi iniziano a brillargli. Poi respira profondamente, mi ringrazia per la domanda, e da voce al suo cuore e ai suoi pensieri.
R (Chicco): «Lo farei sedere al tavolo e gli racconterei di noi attraverso una degustazione dei piatti degli ultimi dieci anni. Piatti che gli mostrerebbero chi sono ora e che spero, lo renderebbero fiero di noi tutti.».
R (Bobo): «Mio padre mi ripeteva di continuo che io fossi bravissimo con i risotti! Quindi, cosa meglio di un buon risotto alla milanese con ossobuco per ritrovarci?».
La chiacchierata con Enrico e Roberto si conclude. E diciamocelo: anche per me ora sono un po’ più Chicco e Bobo, di quanto non lo fossero prima del nostro incontro. Con la loro umanità, le loro parole e i loro sorrisi. E con quella bella emozione che hanno saputo condividere con me, nel ricordo di papà Vittorio.
E in un clima in cui i sentimenti sono più forti di qualsiasi parola, non ci si può che lasciare con qualcosa che possa raccontare di quelle emozioni a lungo narrate. Qualcosa in cui i fratelli Cerea sono davvero unici e rinomati in tutto il mondo. E che, in nome del piacere, scelgono di condividere con noi.
CASONCELLI DI TALEGGIO CON CREMA DI MAIS E TARTUFO NERO
porzioni: 4; difficoltà: media; tempo totale di preparazione: 3 ore
INGREDIENTI
(per la pasta)
500 g di farina bianca 00
3 uova intere
3 tuorli
sale q.b.
acqua q.b
(per il ripieno)
600 g di taleggio
100 ml di panna fresca
(per la salsa)
500 g di mais in scatola
2 lt di latte fresco
6 scalogni
100 g di tartufo nero
PREPARAZIONE
1 – Preparare la pasta, disponendo su un piano di lavoro la farina a fontana, mettendo al centro le uova e un pizzico di sale. Se preferite, utilizzate l’impastatrice. Lavorate energicamente il tutto fino ad ottenere un impasto morbido ed omogeneo.
2 – Lasciate riposare in frigorifero per circa 30 minuti avvolto nella pellicola o in un contenitore con chiusura ermetica.
3 – Tagliate il taleggio a cubetti e mettetelo in una casseruola con poca panna; fondetelo a bagnomaria sino a ottenere un composto liscio e filante. Lasciate raffreddare in frigo.
4 – Stendete l’impasto a mano ( con il mattarello) o con l’apposita macchinetta (elettrica o manuale). Tagliate la pasta a cerchi del diametro di 6/7 cm.
5 – Farcite i dischetti di pasta con la fonduta di taleggio fredda e chiudeteli dandogli la tipica forma del casoncello.
6 – Preparate la crema di mais: pulite, lavate e tagliate gli scalogni a julienne, stufateli e aggiungere il mais. Coprite con il latte e portate a bollore per circa 5 minuti. Frullate il tutto e regolate di sale.
7 – Cuocete i casoncelli in abbondante acqua salata, scolateli e mantecateli con burro e parmigiano.
8 – Servite ben caldi sopra la crema di mais e tartufo nero a scaglie.
photo credits © Lucio Elio; Fabrizio Donati