Intervista a Cristiano tomei, il genio che reinventò il ristorante stellato
Esistono aggettivi come “estroso”, “vulcanico” o “geniale” che troppo spesso vengono abusati con leggerezza o senza cognizione di causa. Cosa che non accade se parliamo invece di Cristiano Tomei, Chef stellato toscano che con il suo ristorante L’Imbuto a Lucca è riuscito a dare vita a un modello unico in Italia. Un modello, per l’appunto, “estroso”, “vulcanico” e “geniale”.
Riconosciuto dalle maggiori guide gourmet come uno dei talenti più innovativi, e icona del piccolo schermo in trasmissioni come La Prova del Cuoco, Masterchef Magazine o I Re della Griglia, Tomei ha dato vita a un ristorante che non è il classico ristorante: senza insegna al suo esterno, senza una vera e propria sala e senza menù! I 35 coperti sono infatti dislocati nelle sale del Lu.C.C.A, il Lucca Center of Contemporary Art in cui Tomei mette in scena un’esperienza irrinunciabile e accende i riflettori su un modello unico che nessuno – almeno nel nostro Paese – ha azzardato sperimentare. Una formula che ha portato il New York Times a definire L’Imbuto il secondo miglior ristorante al mondo, all’interno di un museo.
Sì, perché a L’Imbuto ci si siede all’interno di una delle sale della Galleria, si sceglie quante portate si vorranno degustare e – a scatola chiusa – ci si affida totalmente all’estro dello Chef, alla stagionalità e alla disponibilità del mercato (fatto salvo per eventuali intolleranze o alimenti non graditi, che vanno comunicati). Vivendo un appuntamento al buio con il gusto e il piacere o come sostiene il grande fotografo Lido Vannucchi, “viaggiando senza carte geografiche né satelliti, ma affidandoti solo a naso e gusto, i soli parametri a cui fare riferimento, che credi ti stiano conducendo in chissà quale angolo del mondo e invece sei lì, a sorprenderti nel suo orto!”.
Io Cristiano Tomei lo incontro in una delle sale di quel luogo che ormai conosco alla perfezione. Sì, perché io a L’Imbuto ci sono tornata una miriade di volte! E non ho mai mangiato la stessa cosa!
D: Chef, senza togliere alcuna vena romantica al tuo lavoro o onore alla tua sana follia, tu sei stato capace di mettere in piedi (passami il termine freddo e meramente economico) il modello di business perfetto: un locale senza sovrastrutture; un menù “in lunghezza” dove scegli tu cosa offrire ai clienti; un servizio di sala impeccabile e dai ritmi perfetti. Perché nessuno ha ancora avuto il coraggio di copiarti?
R: Io ho scelto un modello che mi rappresentasse, mi facesse rimanere me stesso e mi permettesse di non smettere mai di sperimentare. Non so… probabilmente è una formula che non piace a tutti e che in molti non azzardano a collaudare, preferendo la sicurezza di un percorso più convenzionale e conosciuto. Tra l’altro, non possiamo fingere che la situazione economica attuale sia ormai irreversibile, quindi è indispensabile creare un offerta di qualità accessibile. Io oso, forse sbaglio… ma non penso potrei fare diversamente. Qui tutto racconta di me! Mangiare in un museo è un’esperienza forte e completa e ho sempre pensato che dinamicità e ritmo fossero componenti fondamentali di quest’avventura. Il commensale non deve annoiarsi a tavola: né a causa di inutili attese, né per effetto di cucina masturbativa o autoreferenziale. Non sta a me spiegare se mangiare un piatto da sinistra a destra o dall’alto verso il basso. Penso inoltre che la storia di un cibo o di un alimento non possa primeggiare alla sua effettiva qualità. La cucina è immediatezza. E come tale, bisogna fare in modo che il gusto sia il vero protagonista.
D: In effetti, mangiare da te, significa vivere un rapporto: il cliente prova uno stupore continuo di ciò che gli presenti nel piatto. È un rapporto di coccola e fiducia, un po’ come quando si è ospiti a casa di qualcuno. Come è nato un approccio così unico?
R: Il gioco della sorpresa del cibo si avvicina moltissimo all’intimità di un rapporto a due. In amore o nel sesso, non ci si anticipa quali saranno mosse ed approcci. Tu sesso lo fai! Lo stesso è il rapporto con il cibo che parte sempre dalla pancia. È attraverso la pancia che avviene il primo approccio; dopodiché, vengono automaticamente coinvolti tutti gli altri sensi, ma in maniera naturale e senza alcun condizionamento. Non è un caso se, in alcune culture, il cervello si trovi proprio nella pancia! Il cibo è scoperta. È immediatezza. È feeling. Proprio come il sesso!
D: Vero: manzo primitivo; cialda di grano arso, seppia e cervello; tacos di trippa. Sei cosciente di essere al limite del pornografico?
R: La cucina deve farti vibrare. Se non ottieni questo, hai fallito l’obiettivo principale di quest’arte.
D: A differenza di molti tuoi colleghi, tu non hai fatto studi alberghieri, non hai una tradizione famigliare alle spalle e sei un autodidatta. Eppure sei qui e sei Cristiano Tomei…
R: Il cuoco deve avere il coraggio di essere sé stesso. Perché le tendenze svaniscono. Vero… questo coraggio può annientarti o forse no! Io non dico di non essere cambiato nel corso degli anni. Ma alla base, ho mantenuto la profonda convinzione di non rinunciare alle mie idee.
D: Toglimi una curiosità: perché L’Imbuto?
R: Nel Medioevo l’imbuto rovesciato era simbolo di follia. E io mi ci ritrovo molto in questa vena satirica. Inoltre, mi piace la metafora per cui la gente venga travasata nel mio ristorante a mangiare, conoscere, scoprire…
D: Satura? Parliamone…
R: Satura è un luogo nato dalla commistione di idee con il fotografo lucchese Lido Vannucchi e portato avanti con mia moglie Laura. Uno spazio di recupero industriale in cui si mangia in maniera schietta e senza fronzoli, senza però rinunciare alla qualità dei prodotti da me scelti e che possono essere acquistati anche dal pubblico, poiché Satura è anche un mercato. Ma anche un laboratorio e un posto dedicato agli eventi. Un luogo appunto saturo di cibo, vino, salumi, piacere… e che rievoca l’antica etimologia latina della parola satira che, a sua volta, ci ricongiunge al simbolo de L’Imbuto.
D: O ti si ama, o ti si odia. Tanti nemici, tanto onore?
R: Vediamola così! Anche se il mio sogno nel cassetto è che un giorno la condivisione prenda il sopravvento su atteggiamenti negativi. Per ché, del resto, la cucina è amore. E l’Amore è condivisione.
Cristiano è proprio come te l’aspetti. Genuino, divertente e coinvolgente. Ganzo, come lo definiscono qui in Toscana. Difficile interrompere una conversazione in cui si accenna continuamente alla Storia, si parla di commistioni, si scherza, si riflette… Ma arriva il momento in cui Chef Tomei deve raggiungere la sua brigata in cucina e io il mio tavolo in cui mi preparo a un nuovo “appuntamento al buio” col piacere. In cui, ne sono certa, avrò modo di degustare nuove creazioni e assaporare inaspettate delizie. Ma so che una la ritroverò: un piatto a cui lo Chef sceglie di non rinunciare mai! E così, non ci resta che “rubargli” questa sua ricetta. Una ricetta, ovviamente “estrosa”, “vulcanica” e “geniale”.
RAVIOLI DI OLIO
porzioni: 4; difficoltà: difficile; tempo di preparazione: 3 ore
INGREDIENTI
12 tuorli
400 g di farina
sale q.b.
acqua q.b.
200 g di olio EVO
220 g di latte
25 g di parmigiano
1 foglia di gelatina
1 seppia
polvere di cavolo nero q.b
PREPARAZIONE
1 – Dividete gli albumi dai rossi delle uova, metterle in una boulle con il sale, l’acqua e aggiungete la farina un po’ per volta, lavorandoli con le mani, fino ad avere un impasto elastico e liscio.
2 – In un pentolino scaldate il latte con il sale, togliete dal fuoco prima che bolla. Dopo aggiungete la gelatina, precedentemente ammollata in acqua fredda, aggiungete a filo l’olio montandolo con un frullatore a immersione, alla fine aggiungete il parmigiano. Mettete il composto in una sac-à-poche.
3 – Stendete la pasta molto finemente e con la sac-à-poche mettete delle piccole sfere di ripieno sulla pasta distanziate fra loro. Ripiegate la pasta su se stessa e coppate con un coppa pasta piccolo.
4 – Sfogliate il cavolo nero, mettetelo in forno a 180° per 30 minuti, una volta secco frullatelo cosi da ottenere una polvere.
5 – Prendete la seppia, tagliatela a cubetti molto piccoli, saltateli in una padella molto calda e grattateci la scorza di limone.
6 – Cuocete in acqua bollente i ravioli, scolateli, adagiateli su un piatto con le seppie e spolverate il tutto con il cavolo nero.
photo credits © Lucio Elio; © Lido Vannucchi
leggi il copyright