Intervista a Gualtiero Marchesi e la ricetta del suo piatto più celebre
Gualtiero Marchesi è il cuoco italiano più famoso al mondo. È colui che ha rivoluzionato, condizionato e impresso l’idea di alta cucina contemporanea nel nostro Paese. Primo tristellato in Italia e primo ad aver “restituito”, con un gesto eclatante, le stesse al mittente. Un cuoco che ha raggiunto la notorietà stando dietro ai fuochi della sua cucina e non davanti alle telecamere. Una personalità che probabilmente mai avrà eguali nel nostro Paese o addirittura nel mondo. Un uomo la cui cucina ha il sapore della cultura e del “sapere”.
Non è dunque casuale se il Maestro Gualtiero Marchesi mi dia appuntamento per scambiare quattro chiacchiere in una libreria in cui presenterà ufficialmente al pubblico il suo nuovo lavoro “Gualtiero Marchesi, Opere/Works”, un libro insolito – non la classica raccolta di ricette; un’opera in cui lo Chef – o il Cuoco, come preferisce farsi chiamare – ha scelto di selezionare centotrentatre tra i suoi più grandi piatti descrivendoli unicamente attraverso immagini che ne svelano l’idea, la struttura e la storia.
Arriva puntuale e, per il nostro têtê à têtê accetta sorridendo di accomodarci nell’angolo della letteratura per bambini, aggiungendo: «Mi sembra perfetto: la cosa più stupefacente della fanciullezza è la curiosità. E io, a ottantasei anni, ancora sento di non aver esaurito la mia di curiosità. È il motore che mi spinge a continuare a creare e che mi ha permesso di essere sempre e comunque Gualtiero Marchesi. Le persone dovrebbero imparare a guardarsi in giro, a osservare e a fare domande. La curiosità è ciò che da veramente forma alle idee».
Apro così il mio taccuino, pronta a riservargli le domande che mi ero precedentemente preparata, ma lui mi ferma e mi sconvolge con una battuta: «Posso raccontarle di un aneddoto accadutomi stamane? Una signora mi ferma e tutta emozionata mi dice: -Io la conosco! So chi è lei! Lei è Artusi!!!».
Scoppio in una fragorosa risata, chiudo il mio taccuino, mi dimentico di azionare il registratore, e iniziamo una piacevole conversazione.
D: «Maestro, oggi racconterà dell’importanza del lato estetico dei piatti. Cosa significa essere considerato l’iniziatore di una filosofia che ha cambiato il modo di fare alta cucina?»
R: «Quando nel 1977 rientrai a Milano dall’esperienza parigina, nessuno in Italia aveva mai sentito parlare di nouvelle cousine, una filosofia di rottura che pretendeva l’utilizzo di materie fresche, la loro valorizzazione attraverso lavorazioni sapienti e giochi di contrasti, e che soprattutto costringeva i cuochi a misurarsi con tecniche e capacità sino ad allora ignorate come la creatività poiché, dal piatto di portata, si passava a presentare una creazione direttamente nel piatto. Grazie alla curiosità che mi ha sempre animato, il cambiamento mi è risultato naturale e stimolante, ma purtroppo ancora oggi vedo in giro ancora troppi pasticci celati da “creatività” che svantaggiano il rispetto per la materia prima, le mille forme che può assumere, la qualità e l’estetica. Poiché, in sintesi, Il bello puro è il vero buono. Mi trovo fondamentalmente d’accordo con Henri de Toulouse-Lautrec il quale riconosceva la grande raffinatezza nella sintesi e nella semplicità, invitandoci a “svecchiare” la tradizione e a riproporre la legge naturale dell’equilibrio anche nel piatto».
D: «E’ nota la sua passione per la musica. Questo suo naturale impulso per le armonie, in che modo è entrato in cucina?»
R: «Nella maniera più bella e naturale possibile: con la mia famiglia. Mia moglie Antonietta – pianista – ha alle spalle cinque generazioni di donne musiciste, e le mie figlie hanno entrambe seguito le orme materne: Paola è violinista e Simona arpista. Poi ci sono i miei nipoti: due pianisti, un flautista, un violoncellista e un violinista. La cucina, come la musica, è fatta di compositori e di esecutori. Il cuoco, e la sua capacità di fare brigata “compone”, dà il modello e regola la sintonia dell’orchestra. Ed è la ragione per cui il cuoco deve stare in cucina con la sua brigata».
D: «Newton, elaborò la legge di gravità, osservando cadere una mela dall’albero. Esiste una mela di Gualtiero Marchesi?»
R: «A dire il vero, ciascuno dei miei piatti è nato così, dall’intuizione. E qui torniamo al discorso della curiosità che da sempre mi anima. Qualsiasi cosa io osservi riesce a ispirarmi. Ricordo quando nel 2007 andai ad assistere a una mostra di Alberto Burri che – come ben saprà – completava e rendeva uniche le sue Opere bruciandole. La sera stessa, preparai un uovo al tegamino, lo sfiammai nella parte bianca e servii il mio “Uovo al Burri” (ride). E questo, non è che un esempio».
Proseguirei per ore a chiacchierare con quell’uomo speciale che mi emoziona, catapultandomi agli anni in cui da bambina mi recavo con la mia famiglia a pranzo nel suo ristorante milanese in Bovesin de la Riva, stessa via dove oggi – non a caso – sorge l’Accademia Marchesi. Ma il tempo è tiranno e io e il Maestro ci salutiamo con un sorriso, lo stesso sorriso che ha accompagnato il tempo della nostra conversazione.
E non mi lascia solo questo. Mi regala i giusti suggerimenti per realizzare il suo piatto più celebre, il Riso, oro e zafferano. Perché, come ci tiene a precisare il Maestro, lui non scrive la ricetta. Lui racconta come nasce un piatto fatto di cultura e “sapere”, proprio come testimonia in questo suo manoscritto.
RISO, ORO E ZAFFERANO – 1981
porzioni: 4; difficoltà: media; tempo totale di preparazione (compresa la posa del burro acido): 2 ore
INGREDIENTI
15 g di cipolla
19 cl di vino bianco
4,5 cl di aceto di vino bianco
160 g di burro
280 g di riso Carnaroli
1 lt di brodo di pollo leggero
2 g di stimmi di zafferano
20 g di parmigiano grattugiato (a piacimento)
4 foglie d’oro
PREPARAZIONE
1- In una casseruola cuocete 15 g di cipolla tritata finemente in 15 cl di vino bianco e 4,5 cl di aceto fino a che la parte alcolica non è evapori, lasciando solo la parte acida. Aggiungete 100 gr di burro in crema e mescolate, ottenendo un burro cosiddetto acido.
2- Filtrate il burro attraverso un passino per eliminare i resti della cipolla. Compattate il tutto e lasciate raffreddare in frigo per almeno un’ora.
3- In una casseruola di rame tostate il riso con 60 g di burro per un minuto. Bagnate con 4 cl di vino bianco e lasciare evaporare. Versare il brodo bollente e aggiungete gli stimmi di zafferano. Fate cuocere per 18 minuti. Mescolare di tanto in tanto e, una volta terminata la cottura, mantecate 40 g di burro acido e, a piacere, con il parmigiano.
4- Versate il riso nel piatto e aggiungete la foglia d’oro, che potrete acquistare nelle migliori gastronomie o in numerosi e-commerce on-line.
photo credits © Lucio Elio; © Coimbra
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