Intervista ad Alberto e Giovanni Santini, eredi di Antonio e Nadia Dal Pescatore Santini
Spesso pensando alla cucina, si è proiettati naturalmente al concetto di convivialità e famiglia. Nel panorama dei ristoranti stellati, vi è un luogo che più di tutti sintetizza in sé questi concetti e ci proietta in maniera lineare e diretta all’immagine dell’ospitalità. Un luogo unico, che tutti conosciamo come Dal Pescatore, il ristorante della famiglia Santini.
Ristorante di famiglia dal 1925, Dal Pescatore Santini ha saputo innovarsi col passare degli anni, senza mai sradicarsi dalla tradizione.
Merito della continua collaborazione e contaminazione dei componenti della famiglia Santini che, lavorando gomito a gomito tra generazioni differenti, hanno saputo generare questo equilibrio perfetto tra tradizione e innovazione, focalizzato sulla assoluta qualità e sul rispetto della cucina e dell’ospitalità.
“Se la famiglia fosse un frutto, sarebbe un arancio, un cerchio di sezioni tenute insieme ma separabili, con ciascun segmento distinto”.
(Letty Cottin Pogrebin)
I numeri parlano chiaro: insignito con i massimi riconoscimenti da tutte le Guide Gastronomiche nazionali e non, il Ristorante Dal Pescatore mantiene strette le tre stelle Michelin, i tre Cappelli dell’Espresso e le tre Forchette Gambero Rosso, oltre a figurare in Guide mondiali di massima eccellenza. E soprattutto, è il ristorante di Nadia Santini, – la donna che nel 2013 i francesi (sì, avete capito bene… i francesi!) hanno proclamato come migliore Chef donna al mondo, assegnandole l’ambito premio Veuve Clicquot World’s Best Female Chef.
Da diversi anni, Antonio Santini e la moglie Nadia coordinano con grande maestria rispettivamente sala e cucina del Ristorante Dal Pescatore. E da tempo, al loro fianco collaborano con un ruolo sempre più di primordine i due figli: a fianco di Antonio, il figlio Alberto in sala; e Giovanni, quello a cui Nadia – un passettino per volta – ha progressivamente ceduto il testimone della cucina, al fianco di quest’ultima ai fuochi.
Per questa ragione sono tornata il quel ristorante che conosco alla perfezione e confrontarmi con l’ultima generazione, ovvero, con Giovanni – classe ’76 – e Alberto, il secondogenito e tretatreenne. A cui ho scelto di porre le stesse domande, per comprendere quali similitudini e quali antitesi potessero emergere tra i due eredi di Casa Santini.
D: «Permettimi la banalità della domanda: quando hai capito che questa sarebbe stata la tua strada? Hai mai pensato di fare dell’altro?»
R (Alberto): «Credo di no perché, anche quando studiavo economia a Pavia, ogni volta che mi approcciavo a una nuova materia, pensavo a come avrei potuta applicarla al ristorante. E mi accadeva la stessa cosa frequentando seminari o convegni dedicati al settore. Tra l’altro, come mio fratello Giovanni, sono cresciuto al ristorante e capitava che mamma e papà ci chiamassero come jolly, qualora vi fosse necessità in sala o in cucina».
R (Giovanni): «Non è per nulla una domanda banale! Probabilmente perché non vi è stato un vero e proprio momento. L’ambiente in cui sono cresciuto era questo e io, come tutti i bambini, amavo giocare. La nonna mi teneva con sé e io sono cresciuto giocando accanto alla stufa e tutto era perfettamente naturale, mi piaceva. Negli anni ’80 il mondo della ristorazione era differente. Il personale non era molto e quindi, se c’era bisogno di una mano, venivo chiamato. Avevo circa 13 anni quando iniziai ad aiutare in cucina e la cosa mi riusciva bene. Poi crescendo, ho proseguito gli studi scegliendo la facoltà di Scienza e Tecnologia Alimentare, e questo ha probabilmente completato la fase di convincimento».
D: «Cos’è un “ristorante”?»
R (Alberto): «E’ la massima espressione della nostra cultura e incarnazione di valori di libertà e democrazia. È il luogo dove la gente sceglie di condividere la propria intimità con persone che stanno facendo la stessa cosa e in cui si accettano delle regole e ci si affida a qualcun altro».
R (Giovanni): «É un tratto fondamentale della mia vita. Della nostra vita. È il luogo in cui intrecciare relazioni e in cui arricchirsi vicendevolmente attraverso continui scambi. Da noi passa una moltitudine di persone grazie a cui la nostra esperienza si ingigantisce ogni giorno di più».
D: «Cosa significa lavorare a stretto contatto con quello che è anche il tuo privato?»
R (Alberto): «E’ una cosa molto bella ma che richiede grande intelligenza a distinguere i ruoli familiari da quelli lavorativi».
R (Giovanni): «Come ogni cosa, ha risvolti sfaccettati. Ad esempio, sai di poter contare sempre sulla collaborazione di ciascuno e sai come ricercarla. Di per contro, le dinamiche familiari non sono semplici dinamiche societarie: devi comprendere e rispettare le esigenze e i tempi di ciascuno. E assecondarle per il risultato perfetto».
D: «In quale modo, il tuo lavoro si differenzia da quello di tuo padre/madre?»
R (Alberto): «A mio avviso, ciascuno dovrebbe lavorare nel proprio presente. E ciò che faccio, lo devo agli insegnamenti dei miei genitori. Io appartengo alla prima generazione che non ha svolto il servizio di leva e questo fa sì che la nostra mentalità non persegua un rapporto gerarchico ma più che altro collaborativo e motivazionale. Tra l’altro, nella mia epoca – grazie alle innovazioni avvenute nel campo dei servizi – sono venuti meno alcuni ruoli più “umili” e questo ha facilitato un avvicinamento del personale».
R (Giovanni): «Credo sia impossibile percepire i confini delle nostre sfaccettature: quando si appartiene a una famiglia e a una storia talmente lunga, le individualità vanno a sfumare. Il contributo di ciascuno si inserisce in maniera tenue e delicata, nel rispetto dei tempi e delle esigenze altrui. Come ti accennavo, io ho studiato Agraria ed è proprio un uomo di campagna che mi sento. Il mio è un approccio di freschezza e leggerezza e cura per i dettagli. E non è un caso se ho scelto gli studi di Agraria. Io mi sento innanzitutto un uomo di campagna, che appartiene alla terra e che ha fisso l’obiettivo di preservare la cucina nella sua forma più ancestrale. È per questa ragione che preparo le paste fresche al momento e in maniera espressa. L’ospite merita di gustare l’assoluta freschezza».
D: «Un modello»
R (Alberto): «Non ho un modello, ne ho tanti! Cerco stimoli da tutto il mio vissuto e dalle realtà che ho avuto la fortuna da approcciare: facciano esse parte della ristorazione, piuttosto che di Universi paralleli. Sono avido di conoscere e di poter apprendere da ogni settore dell’eccellenza».
R (Giovanni): «Onestamente, il mio non è un modello antropologico a cui ispirarmi ma è più un modello di Società. Mi piacerebbe riuscire a rifondare un mondo rurale contemporaneo in cui innalzare la campagna, la natura e le loro leggi a qualcosa di unico d preservare e che possa servire da “orizzonte” per i nostri figli».
Ragazzi davvero differenti tra loro, Alberto e Giovanni! Il primo, più razionale e concettuale. Il secondo – che non smette di lavorare un solo istante durante la nostra intervista – uomo di sostanza e appassionato. Uomini differenti uniti dagli stessi valori e dal rispetto per la propria cultura famigliare, così come per la cultura del gusto.
La chiacchierata, iniziata in sala con Alberto e terminata con Giovanni in cucina, si conclude in quell’atmosfera calda e rilassata che solo Dal Pescatore puoi ritrovare. E mentre io e Giovanni parliamo, la mamma Nadia Santini e la nonna Bruna continuano a lavorare ininterrottamente, confermando l’importanza di una squadra così speciale e tanto unica.
E ovviamente, non può che concludersi che con una ricetta a cui Giovanni Santini tiene molto perché racchiude in sé l’importanza della manualità e di quei valori a cui è tanto legato.
RAVIOLI DI FARAONA NEL GIARDINO D’AUTUNNO, CON CREMA AI CARCIOFI, PERE MADERNA E TARTUFO NERO
porzioni: 4; difficoltà: alta; tempo totale di preparazione: 3 ore
INGREDIENTI
(per la pasta)
5 tuorli
150 g farina bianca 00
(per il ripieno)
1 cipollotto piccolo
1 costa sedano verde
1 carota piccola
1/2 faraona disossata
1/2 bicchiere vino bianco secco
½ bicchiere cognac
2 mestoli di brodo di carne
1 mestolo di acqua
Limone
1 rametto rosmarino
6 cucciai olio EVO
Sale e pepe
Noce di burro
(per la crema di carciofi)
2 carciofi con gambo
1/3 costa sedano verde
¼ cipollotto piccolo
3 cucciai olio extravergine
(per la finitura)
Verdura di stagione
Pere maderna
Tartufo nero
PREPARAZIONE
1- Per prima cosa, preparate la pasta, impastando con cura gli ingredienti, sino a ottenere una palla gialla, liscia e lucida.
2 – Procedete con la realizzazione del ripieno: in una casseruola mettete un filo d’olio EVO e, quando sarà ben caldo, unite cipollotto, sedano e carota tritati finemente. Lasciate rosolare per qualche istante e adagiate la faraona disossata a pezzi con un rametto di rosmarino, salate e pepate; a questo punto sfumate con il vino bianco, il cognac, qualche goccia di limone e aggiungete acqua e brodo fino a coprire la faraona. Proseguite la cottura sino a che il liquido si sarà ridotto a 1/3 del suo volume.
3 – Prendete la faraona, togliete la pelle e ponetela in un piatto a riposare. Frullate il liquido rimanente e mettetelo in un mixer insieme alla faraona. Mixate per bene sino ad ottenere un composto morbido ma comunque compatto e aggiungete la noce di burro (che si scioglierà continuando a mixare).
4- Lasciate riposare in frigorifero per un paio di ore in modo tale da poter ottenere successivamente delle palline di circa 1,5 cm di diametro.
5 – Preparate la crema ai carciofi, riponendo in una casseruola l’olio, il cipollotto e il sedano tritato; aggiungete i carciofi puliti dalla barba interna tagliati finemente. Coprite con acqua e brodo e lasciate cuocere per 10 minuti. Versate il composto in un mixer e frullate, aggiungendo se necessario del brodo. Filtrate e mixate nuovamente con un filo di olio EVO a crudo.
6 – Con un sac à poche, disponete le palline di ripieno sulla sfoglia sottile (1mm) di pasta all’uovo e chiudete i ravioli nella forma che preferite, cuoceteli in acqua bollente e salata per 2 minuti, scolateli e fateli saltare in una padella con burro, un rametto di timo e una macinata di pepe.
7- Disponete i ravioli a piacimento, intervallandoli con dei cubetti di pere maderna glassati e una fantasia di verdure di stagione al dente, con la crema di carciofi e se desiderate con sfoglie sottili di tartufo nero.