#ioapro1501 il 15 gennaio: così alcuni ristoratori dicono “basta!”
#ioapro1501 è la presa di coscienza che accompagnerà venerdì 15 gennaio 2020 alcuni commercianti italiani a rifiutare le imposizioni affermate dall’ennesimo Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri – efficace dal prossimo 16 gennaio – il ventidueseimo emesso dal Governo Conte, unitamente a un’ordinanza, due delibere e venticinque decreti legislativi.
Un dpcm che inasprirà ulteriormente le misure nei confronti di alcuni settori della ristorazione, come i bar, a cui sarà impedito anche l’asporto dopo le ore 18.00 e che, secondo alcune anticipazioni, protrarrà di ulteriori 100 giorni la chiusura delle attività.
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Vi è da domandarsi se la decisione del Governo, tenacemente sostenuta da Roberto Speranza – Ministro della Salute laureato in Scienze Politiche, appartentente a un partito rappresentante il 3% degli italiani e autore del libro “Perché Guariremo” (giustamente tolto dagli scaffali delle librerie in tempi record, visto il titolo…) – frenerà finalmente l’“Inarrestabile evoluzione di contagi” che sino a oggi – con la chiusura dei ristoranti e dei bar (così come quella delle palestre, delle strutture fieristiche, dei cinema e dei teatri) – ha conosciuto un’impennata senza pari mostrandoci come questi luoghi (che più di tutti avevano mostrato di sapersi adeguare alle regole) siano stati condannati a morte sulla base di nessun fondamento o suggerimento da parte del Comitato Tecnico Scientifico.
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Stesso Comitato Tecnico Scientifico che in questi giorni, nella persona di Roberto Bernabei – primario di geriatria del Policlinico Gemelli di Roma, nonché membro del CTS – ha definito definito il Covid-19 “una malattia normale”, nel senso che “nel 90% dei casi muoiono con questo virus i soggetti ultraottantenni affetti da diabete, ipertensione, insufficienza renale, fibrillazione atriale e scompenso di circolo” e – nei casi dei più giovani – “con comorbilità sempre presente, soprattutto con frequenti neoplasie, obesità morbigena, o patologie psichiatriche gravi”. Soggetti deboli insomma, che stando alle ultime statistiche pubblicate dall’ISS non sono minimamente state protette dai repentini dpcm, “apri e chiudi”, lockdown totali o parziali, o attraverso la privazione dei diritti fondamentali degli individui – primo tra tutti quello riferito al Diritto al lavoro, tutelato dall’Art. 4 della Costituzione.
Ricordi i Principi Fondamentali della Costituzione Italiana? Ripassiamoli velocemente insieme!
Comprovato dunque che un #ioapro1501 sarebbe stato lecito intraprenderlo a partire sin da subito, al fine di scongiurare l’ecatombe economica che ha segnato l’annus horibilis appena trascorso (fenomeno evidentemente non ancora conclusosi), il 15 gennaio 2021 partirà questa iniziativa, lanciata idealmente da un ristoratore sardo, poi sviluppata da tre coraggiose realtà tosco-emiliane e accolta in brevissimo tempo da decine di migliaia di ristoranti che – da venerdì in poi – con #ioapro1501 manifesterà i propri diritti sia per il servizio del pranzo che per la cena, nel pieno rispetto delle norme anti-covid, come del resto è sempre stato fatto e con garanzia di tutela legale (guarda il video).
Una resistenza coraggiosa e consapevole che non sceglie la strada del sussidio.
Una resistenza civile che travalica la più confortevole protesta da tastiera, o la scelta di lasciare insoluti pagamenti o affitti, provando a ristabilire la normalità.
Una goccia nel mare che ci rammenta come, storicamente, i movimenti di resistenza fossero portati avanti da pochi elementi coraggiosi che però ci hanno consegnato una storia di democrazia e libertà.
Una disobbedienza civile (e gentile!) quella di #ioapro1501 che, quantomeno all’inizio, potrà essere anche semplicemente simbolica, ma che rappresenta probabilmente il primo segnale di reazione di quella categoria definita dal Premier Conte come “sacrificabile” e “non essenziale”. Categoria certamente tra le meno compatte, solidali o degnamente rappresentate, ma che oggi coinvolge oltre un milione duecentomila addetti (senza ovviamente considerare tutto l’indotto generato dalle società alimentari e di servizi collegate), e rappresenta uno degli elementi basilari della cultura italiana.
Una cultura che non può e non deve rassegnarsi al delivery.
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