Tradizionalmente, era mia abitudine aprire il nuovo anno con un articolo dedicato al “meglio di…” fossero essi ristoranti, piatti o esperienze vissute nell’anno appena concluso.
Quest’anno non ce l’ho fatta!
Nonostante avessi tempestivamente creato una selezione tra i (pochi) luoghi visitati in questo 2020 nei brevi mesi di libertà concessici, da consigliare a chi mi legge, ho preferito evitare ogni forma di ipocrisia, dedicando la meritata attenzione ai tragici dati diffusi in questi giorni da Confcommercio e soprattutto prendendo atto che la situazione – qualsiasi piega essa prenderà – non sarà destinata a concludersi a breve.
Sono impressionanti i numeri di Confcommercio che per il 2020 ha stimato la chiusura definitiva in Italia di 391.645 imprese del commercio non alimentare e dei servizi in generale (settore terziario), di cui 57.401 appartenenti alla categoria della ristorazione e bar, ai quali si aggiunge la crisi di una filiera importantissima, la perdita di oltre 200.000 partite IVA e la disoccupazione garantita per milioni di italiani.
Numeri che senza i ripetuti (e inutili, visti i risultati) lockdown non esisterebbero ma che probabilmente non toccano in alcun modo i ferventi sostenitori della corrente del #iorestoacasa, dei sussidi, dei cashback, di fantomatici “ristori” e del cosiddetto “Stato di emergenza”.
Un concetto che, prendendosi gioco delle categorie meno colte o istruite, trascura l’aspetto semantico del termine (“L’atto dell’emergere; Circostanza imprevista”), misconoscendone il significato reale, e protraendo lo “stato di emergenza” del Governo Conte dallo scorso 31 gennaio a data da destinarsi (prevedo sino al 31 gennaio 2022, salvo impreviste – ma ormai verosimili – modifiche della legge ordinaria).
Diciamoci dunque pronti ad accettare almeno altri dodici mesi al ritmo di dpcm, “apri e chiudi”, lockdown totali o parziali, privazione dei diritti fondamentali, con l’obiettivo di combattere un virus che, in quasi dodici mesi, non siamo stati capaci di affrontare proteggendo le categorie a rischio (vedi le ultime statistiche pubblicate dall’ISS), e continuando ad accettare tentativi fallimentari e mai approvati dal Comitato Tecnico Scientifico.
Si pensi al DCPM annunciato lo scorso 25 ottobre dal Governo, quello che scelse di colpire con un semi lockdown i settori dal Presidente Conte in persona definiti come “attività sacrificabili” in “questa difficile fase in cui stiamo assistendo a un’inarrestabile evoluzione dei contagi“.
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“Inarrestabile evoluzione di contagi” che con la chiusura dei ristoranti e dei bar (così come quella delle palestre, delle strutture fieristiche, dei cinema e dei teatri) ha conosciuto un’impennata senza pari mostrandoci come questi luoghi (che più di tutti avevano mostrato di sapersi adeguare alle regole) fossero stati condannati a morte sulla base di nessun fondamento o suggerimento scientifico ma che ipocondriaci, negazionisti e privilegiati continuano ancora oggi a definire ciecamente come una decisione lecita in virtù del “bene comune”, termine tanto amato da Rocco Casalino e altrettanto propagandato dalle veline destinate all’informazione.
Un’informazione che ha definitivamente accantonato la strada dell’inchiesta a favore di quella più confortevole del copia-incolla su numeri mai verificati e di cui l’unica fonte resta quella governativa.
È invece un dato di fatto la scomparsa di 390.000 imprese, più la perdita di 200.000 partite iva, che comporteranno un aumento spaventoso di disoccupati e di nuovi poveri.
Numeri su cui inizare a riflettere seriamente. Riacquisendo senso critico e lucidità.
E soprattutto, pensando di alzare finalmente la testa!
Foto credits: ANSA