L’Italia ai tempi del Covid tra divisioni e discriminazioni
A inizio pandemia, sembrava che l’Italia fosse stata colta da un sentimento di unità nazionale, ritrovando quei valori sanciti settantaquattro anni addietro, in occasione del referendum con cui gli italiani – dopo ottantacinque anni di monarchia Savoia (di cui venti di dittatura fascista, conclusasi con la Seconda Guerra Mondiale), scelsero di far divenire l’Italia una Repubblica costituzionale.
Un ritrovato senso della Patria fatto di inni intonati al balcone, flash-mob e bandiere esposte al davanzale che – tra una stonatura e l’altra – sembrava quantomeno prepararci a onorare quel 2 giugno 1946 con un sentimento di appartenenza che per innumerevoli ragioni, mancava da tempo nel nostro Paese.
Un sentimento che – relativamente al settore enogastronomico e turistico veniva rimarcato a più voci attraverso l’invito da più fronti a consumare italiano e a prepararsi a prenotare le vacanze estive in Italia.
Inviti che inducevano a riflettere sul fatto che forse necessitavamo di una tragedia per tornare ad apprezzare il Paese più bello del mondo con le sue eccellenze, e che il 2020 avrebbe potuto in qualche modo rappresentare uno spartiacque importante, capace di farci riflettere sul valore della ri-scoperta.
Scenario purtroppo frantumato nel giro di poco, da paura, incertezze e restrizioni che tra autocertificazioni, dietrofront e “lo faccia Lei, se è più bravo”, hanno mandato un sistema economico nel caos e legittimato governatori locali a prendere a sassate la Costituzione e a dichiararsi discriminanti nei confronti di alcune regioni storicamente accoglienti come Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna.
Tra “passaporti sanitari” e minacciate chiusure, Campania, Lazio, Sardegna, Sicilia, Puglia e Toscana hanno manifestato preoccupazione e fastidio per fantomatiche invasioni e diffusioni virali di un virus che sta a mano a mano scomparendo e che – come ormai oltremodo testimoniato dai dati rilasciati da ISS e Inail – si è rivelato fatidico per le categorie deboli e patologicamente a rischio, che prevediamo non prenoteranno le vacanze per l’estate a venire.
Una preoccupazione di contagio che sembra dimenticare il grande esodo del 7 marzo da Milano alla volta del sud Italia che tanto allarme creò, ma che – alla fine dei conti (e a dio piacendo!) – non portò all’epigolo catastrofico paventato.
Una preoccupazione di contagio che mai come ora sta accettando e infuocando le logiche del “Divide er Impera“, tracciando una netta spaccatura nel nostro Paese che – alla luce di tutto – dovrebbe allarmare più delle prese di posizione annunciate dai cugini greci.
E che, secondo il principio di azione-reazione pone un masso pesantissimo sul senso di questo 2 giugno 2020.