Loci Cibus: conoscere la tradizione per non smettere d’innovare
L’arte, nel suo significato più sublime, è l’espressione estetica dell’interiorità umana.
La Cucina è Arte. Lo sostengo da sempre.
E’ Arte in quanto attività umana svolta singolarmente o collettivamente che si traduce in forma di creatività ed espressione estetica.
E’ Arte, poiché capace di generare emozione e muovere sensazioni profonde e incontrollabili.
E’ Arte, in quanto concentrato di tradizione e innovazione e melange perfetto di doti innate, studio e tecnica.
Sarà per questo che Loci Cibus, evento organizzato dal Premio Antonio Fogazzaro nell’anno di Expo 2015 (dal quale è appunto patrocinato) si è aperto sulle note di un artista musicale quale Wolfgang Amadeus Mozart, per poi focalizzare l’attenzione sul suo ospite d’eccezione, Rossano Nistri – specialista di didattica e storico dell’alimentazione – che, in occasione dell’incontro, ha presentato il suo ultimo lavoro “Como e Lecco in cucina” (Ed. Dominioni), libro di ricette e ottimo spunto di riflessione sulla tradizione culinaria e del territorio e sulla funzione che essa debba assumere nell’evoluzione più generale delle Società.
Secondo Nistri, il Cibo è un’arte di antiche origini che – come ogni forma d’espressione – ha bisogno di essere conosciuta nel profondo per consentirne la sua perfetta evoluzione. Evoluzione che, del resto, consentirà al suo popolo di continuare a sperimentare, migliorarsi, progredire. Ma una volta interiorizzata, la tradizione va accantonata e “dimenticata”.
Il pensiero di Nistri è decisamente attuale e sposa alla perfezione le teorie di alcuni grandi maestri della ristorazione – come ad esempio Gualtiero Marchesi e Ferran Adrià – i quali sostengono l’importanza di conoscere meticolosamente la tradizione per poi “liberarsene” e guardare avanti, crescere, volare!
Lo storico – di origini pisane ma comasco di adozione – concentra ovviamente il suo escursus nelle zone lariane, partendo dal periodo neolitico, incrociando la tradizione celtica, sino a giungere al diciottesimo secolo, epoca in cui convivevano due mondi gastronomici distinti: la cucina della povera gente, di pura sussistenza, e la gastronomia dei ricchi – influenzata dalla tradizione e dai fasti culinari francesi.
Ricorda intelligentemente come un tempo non esistesse la “ricetta”. La gente cucinava ciò che c’era e con gli ingredienti a sua disposizione. Se l’ingrediente mancava, lo si sostituiva! Ci sia affidava alla terra, all’orto… Abitudine ripresa e ovviamente sgrezzata negli anni settanta da quella che tutti conosciamo come nouvelle cousine, ovvero quella filosofia che sceglie di abbandonare la tradizione a favore di preparazioni fresche, leggere e più naturali. Sino ad arrivare ai nostri giorni in cui coscienza e consapevolezza ci spingono sempre più a cucinare ciò che è “di stagione”.
Dunque, il passato che ritorna. Un po’ per necessità, un po’ per sensibilità, ma soprattutto per una cultura diffusa di ciò che è giusto e buono.
Nistri sostiene che le ricette rimangano in auge solo se funzionali all’epoca in cui vivono. E’ questa la ragione per cui non esistono – o per lo meno non dovrebbero esistere – ricette eterne. Esse si evolvono, cambiano – sia per questioni legate al gusto che alla nostra salute.
La cultura resta sempre l’attore principiale di questo continuo cambiamento.
E nonostante egli stesso si definisca uno “sciagurato”, in quanto creatore di ricette, il volume è un’interessante raccolta di ricette tradizionali – ma dal personalissimo punto di vista dell’Autore e della sua esperienza, che saluta la platea con una provocazione: “Dimenticare il missultin!”, sgrezzando e attualizzando l’antica ricetta di polenta e salatissimi misultin in qualcosa che si inserisca alla perfezione nell’attuale contesto culturale e sociale.
Poiché, non dimentichiamolo, l’arte deve rispettare l’ambito sociale, morale, culturale, etico o religioso del suo periodo storico.
E la cucina… è Arte.