Tutto iniziò il 16 agosto 2016.
Sono trascorsi poco più di tre anni da quella data in cui a Bergamo nasceva un ristorante nuovo. Un luogo unico e speciale, capace di sovvertire la classica ristorazione talvolta impolverata della città e che, nel giro di poco, si sarebbe dimostrato l’esempio per un cambiamento virtuoso e diffuso, capace di stimolare la nascita di nuove insegne e il rinnovamento di alcune già esistenti.
Un progetto a suo modo “sovversivo”, capace di raccontarsi attraverso una forte immagine inclusiva e di sintetizzarsi in un acronimo di facile percezione: N.O.I. ovvero, Nuova Osteria Italiana.
Un locale Pop, che vede alla regia e alla direzione dei fuochi il giovane Tommaso Spagnolo, chef dal curriculum stellare e una voglia matta di rompere con le regole.
Nato a Bergamo nel 1987 sotto il segno dell’Acquario in una famiglia professionalmente lontana dal mondo della ristorazione ma che, grazie a una sconfinata passione per la buona cucina e per i ristoranti di qualità, avvicina inconsapevolmente il piccolo Tommaso alla cultura del gusto. Un avvicinamento naturale che comincia tra i fuochi di casa – in cui giocano un ruolo centrale le origini tosco-pugliesi dello chef – e che prosegue in alcuni importanti locali stellati come il ristorante Frosio, primo tempio dell’Alta Cucina ove il giovane Tommaso riceve un vero e proprio battesimo del fuoco: «Ho frequentato il liceo classico e, nel 2003, subii la mia prima bocciatura. Mio padre mi spedì a lavorare nelle cucine di Frosio, uno dei più importanti ristoranti Stella Michelin della nostra provincia. Quella che doveva essere una punizione nei miei confronti, si rivelò una vera e propria illuminazione su ciò che avrei voluto fare nella vita: una cucina di ricerca in cui impegno e sacrificio non pesavano in alcun modo. Era un’epoca in cui la cucina non viveva ancora l’attuale esplosione mediatica e quindi sono lieto che la mia passione non abbia subito condizionamento alcuno, ma che sia appunto sfociata in maniera sincera e naturale. Terminato il liceo i miei genitori – entrambi professori – decisero che avrei dovuto iscrivermi all’università e, nello specifico, alla facoltà di Scienze Gastronomiche a Parma. Ma ancora una volta, il richiamo delle cucine è troppo forte, quindi inizio a inanellare un susseguirsi di importanti esperienze pluri-blasonate, al fianco dello chef Roberto Proto al Saraceno, con la Famiglia Cerea alla Cantalupa e in Svizzera con Bernard Fournier».
Nel 2012, la svolta e l’opportunità tanto attesa: viene chiamato da Valeria Piccini nelle cucine del bistellato Da Caino, ove comprende che la cucina può e deve divenire la sua missione, vivendo un proprio rinascimento esistenzanziale che lo prepara alle successive importanti esperienze all’estero: prima come personal chef al servizio della Principessa di Grecia a Londra, per poi approdare al due stelle Michelin Dinner by Heston Blumenthal, e infine a New York, presso il tristellato Eleven Madison Park.
Un bagaglio di esperienze oltremodo ricco che riporta Tommaso Spagnuolo nella sua amata Bergamo, con l’audace sfida probabilmente inconsapevole di rivoluzionare un sistema assopito, semplicemente attraverso il suo gusto personale. Uno Chef che, grazie al supporto di un team giovane e fresco, reintroduce la vera cucina di Mercato, nel senso che la carta cambia ogni giorno «a seconda di ciò che trovo e di ciò che amo mangiare» e che viene presentata oltre i classicismi e le formalità, in un semplice foglio word da poter modificare quotidianamente. Una carta “volante” che, scordando regole e consuetudini, propone le proprie idee catalogandole in Stuzzichini, Piatti Freddi e Piatti Caldi e che ovviamente trova nella formula del menù degustazione alla cieca il suo sbocco naturale.
Impossibile non trovare in carta l’elemento vegetale che – per Tommaso Spagnolo si traduce in un inaspettato momento di gusto, talvolta elaborato grazie a ricordi proustiani e suggestioni, come nel caso del Porro, arancia, nocciole, ristretto di manzo e vino rosso, dove – dall’ispirazione di un porro stracotto sacrificato in un brodo vegetale nasce un piatto sorpendente, in cui l’elemento protagonista perde la proverbiale fibrosità, lasciando spazio a una consistenza a prova di cucchiaio e a cui non viene negato il vigore carnale e la feschezza agrumata che conclude l’assaggio.
Piatti feddi e Stuzzichini incarnano il pretesto per lo chef Spagnolo di fare outing verso le proprie passioni e feticci: largo dunque a insalatine, elementi esotici e orientali, audaci piccantezze, e formaggi di qualsivoglia stagionatura e consistenza ai quali riserva un’ulteriore particolare attenzione, sradicandoli dall’abitudine della chiusura del pasto e proponendoli provocatoriamente tra queste due categorie.
Formaggi che, al momento opportuno, sanno farsi da parte per lasciare lo spazio meritato a elementi alternativi come quelli vegetali che in un Risotto mantecato con cime di rapa e servito con gamberi crudi, non evocano alcuna nostalgia nei confronti dei ben più confortevoli latticini.
Tra i piatti caldi, spiccano senza ombra di dubbio le paste ripiene in cui la rotondità degli elementi e il calore avvolgente della proposta non offuscano in alcun modo la schizzofrenia creativa dello chef: il Tortellino di “mortazza”, tartufo uncinato e verbena in brodo di cappone è un piatto epocale, in cui elementi antipodici e antipatici si abbracciano in un equilibrio spiazzante, esaltato dalla freschezza della verbena, jolly incontrastato di questo piatto giovane e raffinato.
Spazio anche per classicità e per piatti ancorati a una cucina facilmente comprensibile, come nel caso del Petto d’anatra, patè di fegatelli e carciofi, una proposta che da un lato onora una delle materie principe nel menù dell’Eleven Madison Park, dall’altro rievoca le origini toscane in cui fegato e fegatelli sono gastronomicamente osannati con enfasi ditirambica.
Una cucina fresca, pop, mai banale, e che convince dal primo assaggio sino al dessert – affidato alle sapienti mani di Gabriele Rossi e Andrea Rota che, accogliendo la sfida di “svecchiare” alcune delle più iconiche ricette della tradizione, propongono dolci piacevolmente goderecci come la Torta di mele – arricchita da caramello salato, crema cotta, frolla bretone – servita con la gradevole acidità dello yogurt.
L’eleganza essenziale degli ambienti e la semplicità di un servizio attento – ove i confini tra cucina e sala sono abbattuti dal continuo peregrinare dei giovani chef abili nel presentare le proprie creazioni – contribuiscono alla riuscita di un’esperienza perfettamente compiuta, completata dal coordinamento in sala di Alessandro Biffi, a cui è affidata anche la creazione di una carta dei vini in costante crescita.
Photo credits © Lucio Elio