Un progetto ambizioso quello di Vasiliki Pierrakea, una greca originaria di Kalamata – regione del Peloponneso nota ai più soprattutto per le sue succolenti olive – e trapiantata in Italia da circa un ventennio.
Progetto ambizioso che, attraverso al gusto e ai sapori della sua terra, aspira a presentare la cucina greca oltre la tradizione e ai classici cliché, ambendo a un’interpretazione gourmet che parte dagli ingredienti del folklore e si evolve attraverso idee e tecniche talvolta inesplorate.
È Vasiliki Kouzina, ristorante greco nato nel cuore di Milano dall’iniziativa di Vasiliki Pierrakea che, a seguito di numerose esperienze lavorative, individua nella cucina (o nella Kouzina) lo strumento attraverso cui raccontarsi, mostrare la sua predisposizione all’ospitalità e condividere la bellezza di una Storia e di un Paese attraverso una visione differente, prendendo come spunto tutte quelle influenze – prime tra tutte, quelle turche e balcaniche – che hanno portato la cultura ellenica al suo stato attuale.
È così che alle ricette della tradizione, si affiancano piatti più spinti in cui vengono sperimentati abbinamenti non sempre immediati o compensibili. Ottimo e suggerito l’aplistia, un carosello di antipasti in cui spiccano la melitzanosalata (crema di melanzane), il classico tzatziki, le polpette alla menta, i calamari fritti con melanzane, la pita e ovviamente, le olive nere di Kalamata, così come il gyros katsikisios, un kebab di agnello, menta, tzatziki, pistacchio di eginis, pomodori al forno e pita croccante.
Il menù non propone primi di pasta o riso, non perché questi elementi non figurino nella tradizione ellenica, ma perché si preferisce evitare paragoni con le materie più nobili della cultura gastronomica italiana.
Un Mediterraneo che si presenta dunque attraverso un approccio differente e che si dissocia dalla visione comune anche negli ambienti che – discostandosi dai tradizionali blu e bianco ellenico da cartolina – privilegia un fiammante rosso pompeiano, dalle atmosfere più “lynchane”.
Ambiziosa la scelta di limitare la cantina a sole etichette elleniche – una trentina in totale – attraverso cui esplorare l’ancora poco conosciuto terroir greco.