Spingendosi ai margini della città di Milano e superando l’impatto offerto dal susseguirsi di palazzine e grattacieli, è possibile scorgere una bellissima cascina seicentesca, tempio in cui la milanesità è conservata e tutelata come fondamento dell’esperienza gastronomica.
Un’incantevole cattedrale nel deserto che affascina sin dagli esterni avvolti da verdi foglie d’edera che – arrampicandosi lungo tutta la struttura – introducono a una dimensione magica, in cui il calore dell’accoglienza familiare è portata avanti da due generazioni dalla famiglia Meazza/Angelillo.
Un luogo noto come Antica Osteria di Ronchettino – o più semplicemente Il Ronchettino – ristorante che porta con sé una storia antica e affascinante: le prime testimonianze risalgono infatti al 1929 come bottega storica, ma bisogna risalire al XVII secolo per scoprire le origini del nome della realtà che sembra trarre origine dallo zoccolo rotto – appunto il “ronchetto” – di Napoleone, che nel 1600 si sarebbe fermato per pernottare in quella che al tempo era una stazione di posta dove venivano ferrati i cavalli. A partire dagli anni cinquanta del secolo scorso, vennero attestate differenti attività commerciali sino a quella di una trattoria con annessa bocciofila rilevata all’inizio degli anni Novanta da Patrizia Meazza, milanese purosangue che – a seguito di progressivi cambi di pelle, connota l’Antica Osteria di Ronchettino come il tempio della cucina meneghina.
Un tempio in cui sentirsi a casa e che cresce più forte che mai grazie alla collaborazione dei figli Alessia e Francesco Angelillo, coinvolti in un progetto che prosegue nel nome della tradizione, ma capace di lasciarsi trasportare in coerenti variazioni stilistiche.
Merito di un menù trasversale che mette d’accordo tutti e che propone da un lato ricette tipiche della tradizione milanese come i classici mondeghili (polpette di carne alla milanese), il risotto con ossobuco o l’iconica orecchia d’elefante; dall’altro, piatti creativi e contemporanei in cui è evidente la pennellata artistica dello chef Simone Zanon.
Classe ’85 e sangue gardesano, Simone Zanon trascorre oltre la metà della sua vita ai fornelli, inanellando importanti esperienze in strutture di rilievo del nostro Paese e affinando la propria tecnica. Nel 2017 entra in contatto con la famiglia Angelillo per cui segue la linea in entrambe le strutture di proprietà (l’altra è l’Osteria del Ponte di Trezzano sul Naviglio) per poi “sedersi” definitivamente al pianoforte delle cucine del Ronchettino, ove la tradizione si racconta in chiave armoniosa e leggera e l’estro creativo viene manifestato in piatti audaci e dai tratti esotici.
E’ così che nascono i due menù (e le due anime) dell’Antica Osteria di Ronchettino: una più classica, stagionale, in cui si susseguono alcuni grandi miti della gastronomia meneghina, e una più rock ‘n roll proiettata in un viaggio Fuori Milano e ispirata dalla disponibilità del mercato.
La ricerca dell’eccellenza della materia è meticolosa, e tutto è rigorosamente preparato in casa, a partire dai lievitati realizzati con lievito madre e cotti in forno a legna, o dai grissini in cui il burro la fa da padrone.
Gli antipasti sono golosi e generosi e qui è difficile non lasciarsi conquistare dalle icone della milanesità quali i mondeghili, fritti nel burro chiarificato e accompagnati da una gustosa salsa agrodolce che, secondo la tradizionale ricetta di Donna Patrizia restano più piccoli rispetto a quelli classici, ma di gran lunga più morbidi, cremosi e succulenti. Peccaminosi i panettoncini con puzzone di Moena filante, così come i paninetti farciti di cuore in saor, o lo gnocco fritto sevito con Sua Maestà, il prosciutto crudo d’Osvaldo.
La proposta gastronomica è accompagnata da una Carta dei Vini studiata e proposta da Diego Laguzzi, sommelier e formatore ONAV che – attraverso un profondo recupero della storicità del rapporto tra la città di Milano e il vino, rifacendosi agli areali storici della cucina per oltre tre secoli – è pronto a suggerire la bottiglia più adatta in abbinamento a ciascuna portata, comprendendendo il gioco di ruolo ideale tra calice e piatto.
Seducente per consistenza e piacevolezza la Lingua di vitello arrosto con mela verde e cavolo viola fermentato, un esempio tangibile di come un elemento caro alla tradizione gastronomica di una città come Milano possa rivivere nuova linfa grazie a tecniche di cottura moderne e ad accostamenti freschi e non convenzionali.
Tra i primi piatti, ovviamente, la voce grossa la fanno i risi, con particolare riferimento all’iconico Risotto alla milanese che lo chef Zanon propone nelle tre versioni: con ossobuco e gremolada, con rognoncino di vitello trifolato, mantecato con midollo arrosto – piatto a tratti commovente, non solo per l’impeccabile esecuzione, ma anche per la meticolosa scelta della materia prima, ovviamente Riserva San Massimo.
I secondi sono un Inno alla Gioia, a partire dai fritti perfettamente eseguiti e asciutti dove la Cervella di vitello rappresenta l’emblema del piacere dedicato solo ai più fini ed esigenti gourmet.
La Cotoletta alla Milanese dell’Antica Osteria di Ronchettino è ottenuta dal carré di vitello pregiato, ed è proposta nella duplice versione Uregia d’elefant – servita con chips di patate di montagna – o Imperiale che, con i suoi due chili di peso, si aggiudica il primato di costoletta più grande della città di Milano, ideale per sfamare ben quattro commensali.
I piatti della tradizione sono affiancati da alcune proposte “fuori menù” – ribattezzate Fuori Milano –in cui Simone Zanon si concede talune trasgressioni e sperimenta abbinamenti inconsueti.
Memorabile lo Spaghetto con burro acido al pompelmo, estratto di prezzemolo e bottarga di muggine, un piatto freschissimo in cui uno spaghetto perfettamente al dente incontra per osmosi la piacevole acidità agrumata di un pompelmo che, per un gradevole gioco di equilibri, perde la caratteristica nota amara e si armonizza delicatamente la componente ferrosa e salmastra data dalla bottarga. Un piatto fresco che rievoca le sensazioni tipiche della stagione estiva e che scaraventa il commensale in una dimensione alternativa.
Omaggio alla moglie Maria – originaria del Perù – la Coscia d’agnello con curry, quinoa e lime, un piatto dunque che racconta la storia personale dello chef Simone Zanon e che ci accompagna moltissimo Fuori Milano, rievocando note a tratti sud-americane o addirittura mediorientali.
Una cucina in bilico tra tradizione e modernità in un’atmosfera che profuma di festa, grazie alle lucine che si arrampicano lungo le pareti di mattoni a vista e alle stufe a legna presenti nelle tre sale arredate con mobili d’epoca e arredi antichi. Nel salone principale spicca alle pareti una collezione di locandine autografate della Scala di Milano, risalenti al periodo compreso tra il 1982 e il 1986 e nel dehors è presente un’ampia zona esterna, in cui godere del servizio impeccabile anche durante la bella stagione.
Photo credits © Lucio Elio