Tutto ha inizio con un campanello.
Un campanello da suonare, seguito dal fragore sordo di un vecchio e pesante chiavistello che annuncia l’apertura di un cigolante portone in legno.
Poi, subito l’ingresso in una stanza nera, buia, illuminata sul fondo dal neon di un’opera psichedelica – quella realizzata dall’artista britannico Jonathan Monk e che recita solennemente “Until Then if not Before” che, nelle intenzioni dell’autore, vuole ricordarci come l’arte non possa essere definita secondo canoni assoluti.
“Benvenuti da Dina. Benvenuti nella mia Casa”.
Ad accoglierti un ragazzo alto, giovane, dallo sguardo incantato che risponde al nome di Alberto Gipponi.
Alberto Gipponi, classe 1980 e una biografia lunga poco più di trent’anni che racchiude in sé innumerevoli vissuti, un solo Uomo, un unico grande desiderio.
La storia di un ragazzo che, appesa consapevolmente la chitarra al chiodo e riposta nel cassetto la laurea in sociologia, nel 2015 sceglie di afferrare quella passione che lo aveva inseguito per tutta una vita – la Cucina – entrando a lavorare in alcuni Templi della ristorazione italiana: prima all’Orsone di Bastianich, poi da Nadia, in Franciacorta, sino ad approdare nell’Olimpo della ristorazione mondiale, in quell’Osteria Francescana che si è recentemente confermata con il suo chef Massimo Bottura, come il miglior ristorante al mondo.
E poi, Dina.
Dina, luogo che con manifesto disagio Gipponi accetta di definire semplicemente ristorante: “Dina è la mia Casa“, asserisce. “Dina è la Casa di chiunque scelga di varcarne la soglia e trascorrere qui parte del suo tempo”.
Non è dunque casuale che l’esterno non riporti pirotecniche insegne e che il rito di quel campanello apra a un nuovo e irripetibile appuntamento in cui gusto, arte e cultura si fondono coerentemente, in un’esperienza ancora sconosciuta.
“Esperienza”. È questo che dobbiamo avere chiaro in mente, nel raccontare della creatura di Alberto Gipponi: esperienza accompagnata dalle giuste atmosfere, che prendono vita in ambienti creati in maniera apparentemente dissonante ma che svelano elegantemente una celata continuità intrinseca di pensiero attraverso dettagli estetici, elementi di design e opere d’arte. Un Buon Gusto – quello di Alberto – che si districa dalla sala principale, un’elegante Cantina caratterizzata da un’imponente volta, nuda pietra e lume di candela, a un locale più vintage – il preferito di “Gippo”e in cui il concetto di Casa assume la forma più naturale. Continua con disinvoltura e armonia in quella che Gipponi definisce “la stanza della noia”, al Laboratorio – un ambiente moderno e psichedelico affrescato dall’artista Sarah Mazzetti in cui si astrae un labirinto: sei colori per sei sensi.
Ogni Sala ha un senso intrinseco: parafrasando Gipponi, “se scegli di sederti nel Laboratorio, significa che vuoi abbracciarmi, mentre negli altri spazi sono io ad abbracciare te”. Resta comunque la possibilità – anche con l’approccio più tradizionale – di mettersi nelle mani dell’Artista Gipponi, seppur con la riserva di esprimere eventuali intolleranze o alimenti non graditi. Caldamente raccomandati i percorsi a degustazione che da Dina, garantiscono tra l’altro un ottimo rapporto qualità/prezzo.
Lo schiaffo arriva sin dal principio, facendo spallucce alle più classiche e confortevoli Amuse-bouche, sostituite da un brodo vegetale caldo e torbido, volutamente non chiarificato, che nella sua imperfezione ha i profumi e il ricordo avvolgente di passata memoria. Ed è sull’onda del ricordo che Alberto Gipponi idea il Casoncello crudo ma cotto, un piatto divenuto iconico in pochi mesi e che promette di affermarsi come simbolo della cucina più avanguardista contemporanea: un racconto, più che un piatto, che rievoca aneddoti di proustiana memoria in cui Gipponi, da bambino, amava rubare dal sacchetto della nonna la tipica pasta ripiena, per gustarla ancora cruda. Non si pensi però che quella che ti viene servita al tavolo ancora confezionata in un piccolo sacchettino di carta non sia pasta cotta: lo è, ma il gioco è quello dell’illusione, che il cuoco rende alla perfezione grazie a una breve cottura sottovuoto a bassa temperatura che ci consegna un’esperienza ludica ed emozionante in cui risultano evidenti i contrasti e sorprendente l’effetto finale.
E se evocativi si preannunciano i piatti, che dire dei loro titoli? Tutto ci passa attraverso e ci cambia, racconta di quanto l’essere umano sia filtro di vita ed esperienze e di come qualsiasi incontro ne modifichi il vissuto. È questa la ragione per cui Gipponi manifesta la sua particolare predilezione verso alimenti filtro – come cozze, capesante o rognone – con cui dare forma a ricette concettualmente esistenziali dal gusto memorabile: crema di cozze, pomodoro confit, pane croccante, aria di limone, erbe aromatiche e tartare di fungo. “Perché del resto, siamo parassiti e ci leghiamo a ciò che ci attrae”. Non è casuale che questo antipasto venga servito in un piccolo bidoncino realizzato da Mepra, scelta concettuale ispirata dal pensiero dell’artista belga Marcel Broodthaers e al suo surrealismo introspettivo. Di recente ispirazione, Casomai venisse a pranzo Davide Oldani, Tributo ispirato proprio allo Chef Pop e da lui stesso consigliato da mettere in carta che – riprendendo gli elementi e i giochi di contasti dalla sua “cipolla caramellata”, ne varia la proposta, presentando una base di crema di cipolle e un carpione di cipolla di Tropea, spuma di grana padano e sfoglia croccante: non provo vergogna nell’ammettere che di questo piatto ho fatto il bis!
Lode alla pasta, con la Aglio, olio e 58, rivisitazione di un piatto mai entrato in carta alla Franceschetta 58 (bistrò di Bottura) ovvero spaghettoni mantecati con crema di patate, aglio, scalogno, timo, peperoncino, crema al prezzemolo, pane croccante e ostrica ghiacciata. Ma ancor più con la concettuale e a tratti pirandelliana Non mi era proprio mai piaciuta – uno spaghetto al pomodoro (nella sua versione estiva, mantecato con pesche e fragole) e servito con gelato e meringa di pomodoro e basilico: primo che, nella fattispecie, rischia di creare un’iniziale disagio di fronte alla perfezione leggermente “leccata” del piatto, ma che in ultimo elimina disagi e barrire quando Gippo sentenzia: “Mangiala come ti senti!”, legittimandoti a spaccare la meringa e mantecarla con gelato e pastasciutta. Un gesto di spontanea umanità, di fronte a una ricetta di grande concezione e profonda tecnica che conserva in sé tutti gli elementi e gli equilibri che si richiedono a un piatto per divenire “grande”!
Merita un momento di raccoglimento lo stupore ai limiti della commozione di Vi rode il fegato, una delle proposte ispirate ai 7 vizi capitali (nella fattispecie, l’Invidia) che con un fegato di Fassona appena scottato e servito con salsa bordolese, cipolle fritte, noci tostate e riduzione di mela alla curcuma si candida come Capolavoro assoluto su questo genere di materia e tra i pianti più interessanti, presenti nella Carta del Dina.
Concettuale, al limite del criptico la parte (non) dolce, in cui le proposte provocano con idee non facili e certamente non immediate: divertente e imprevedibile il Risotto? Ma non doveva essere pane, burro e marmellata?!?! un riso al rosmarino, riduzione d’arancia e pinoli al burro, in cui Gipponi ritrova gli elementi più vicini al suo gusto personale. Più impegnativo Ma che cavolo! la spuma di cavolfiore e vaniglia con crema al cioccolato salato, gelato al miele di corbezzolo e limone amaro. Estremo il C’é qualcosa che non quaglia, quaglia al miele, crumble al whiskey e cacao, crema di pinoli, mou e caramello alla salvia, gelèe al whiskey, servito con un brodo dolce di quaglia, miele e spezie. Ai cervelli e ai palati l’ardua sentenza…
La cena, accompagnata per tutto il suo percorso dalla narrazione incessante e dalle emozioni del suo artefice, si arricchisce grazie a una carta dei vini giovane e peculiare in cui il parametro di scelta delle etichette sembra essere principalmente “ciò che ci piace bere”, come rivela ironicamente ma non troppo Marco Abeni, giovanissimo responsabile di Sala.
Altrettanto giovane e affiatata la brigata, coordinata magistralmente da Gian Nicola Mula, alter ego di Gipponi e proveniente anch’egli dal “vivaio” Bottura.
Un’esperienza capace di proiettarti in un futuro (auspicabile) in cui gusto, arte e idee coesistono, cooperano e costruiscono un Cosmo che possa essere da esempio su quello che oggi dovrebbe rappresentare la nuova ristorazione. Perché il Mondo, va avanti!
E pensare che la scoperta inizia semplicemente suonando un campanello…