Vi sono ristoranti capaci di restare immutati per oltre un secolo di storia.
Ve ne sono altri che, per ripartire, scelgono si stravolgere le regole, scompaginare gli obiettivi e inscenare veri e propri terremoti ideologici e stilistici.
È il caso de La Pedrera, ristorante di Soncino – cittadina in provincia di Cremona tra le più belle della Lombardia – nota per il suo Castello e per le sue origini medioevali.
Un ristorante che, fatto tesoro dei lunghi decenni di esperienza e attività sviluppati dalla famiglia Zuterni – proprietaria da circa cinquant’anni dei locali e del parco in cui sorge il ristorante – sceglie di rinascere per iniziativa di Luca, giovane Chef e rappresentante dell’ultima generazione che, il 16 marzo 2018, riparte con un’idea di cucina innovativa e sorprendente, con la promessa di dare un forte scossone alla ristorazione tipica del Territorio.
Luca Zuterni, classe 1990, entra nelle cucine del ristorante di famiglia a soli sette anni, percependo l’inevitabile richiamo “dei fuochi”. Quasi naturale, la successiva iscrizione alla scuola alberghiera che però, a causa di un temperamento a tratti anarchico, non conclude, preferendo la gavetta e una maturazione in giro per l’Italia, che lo porterà tra collaborazioni e consulenze a svilupparne un punto di vista più maturo e identitario. Una peregrinazione necessaria per plasmare l’attuale conformazione della sua nuova Pedrera, che riparte così con uno staff giovane, un locale perfettamente a fuoco e una fusione ricorrente con le arti figurative, grazie a una collaborazione indovinata con artisti giovani o affermati.
E soprattutto, una cucina che si racconta accuratamente nei tratti caratteriali di Luca, dando forma a ricette estreme, audaci e creative.
Un’attitudine che però non demolisce in alcun modo il passato ma lo eleva, prendendo spunto dagli elementi tipici del territorio non solo come semplici ingredienti, ma trasformandoli in basi di cottura o veri e propri strumenti per la preparazione dei cibi: è così che un sasso del fiume Oglio, diventa un elemento di cottura, la corteccia di un albero una pentola, e foglie e rami ingredienti per un brodo.
Il risultato è strabiliante e si propone in un Menù in cui si susseguono piatti dagli accostamenti estremi e dalle denominazioni a tratti assurde. Un esempio? Che cavolo di lingua!; Hanno pilato la trota nel riso; È un casino questa pasta e fagioli!; Un cinghiale al bar. Portate che è possibile degustare alla Carta o in una delle degustazioni a mano libera dello Chef (5 portate per 50 euro, 7 a 70). Provocatorio infine Quinto peccato capitale, una selezione di assaggi che propone di sostituire la nota dolce a tutto il percorso del pasto: quattro dessert protagonisti assoluti di una cena alternativa in bilico tra avanguardia e sperimentalismo.
I piatti e gli elementi di portata sono pensati da Zuterni e disegnati appositamente da artisti e designer. Pane, grissini e burro sono realizzati in casa, e spesso i piatti vanno ad attingere da elementi riconducibili alla terra o al bosco.
Lo dimostrano le lumache, così come Il cervo va in città, una battuta di selvaggina servita in purezza con sfere di olio del Garda, una Tuile di frutti di bosco, oli essenziali estratti in distillazione, pane bruciato e castagne.
L’audacia e il desidero di scompaginare preconcetti e regole bussa con Un bretone e un siculo a Shikoku, un piatto in cui mare e lago si fondono in un rapporto apparentemente folle e dissonante ma capace di esaltare uno spaghetto di canapa, attraverso le note salmastre dell’ostrica (liquida e in polvere), la bottarga di trota (preparata direttamente dallo Chef) e i piacevoli contrasti agrumati delle sfere di Yuzu.
Evidente il feticcio di Zuterni per riso e risotti: il Il bosco in un riso è la sintesi di una visione in bilico tra la necessità di attingere dall’essenza della Terra e lo stimolo di contaminare i propri piatti con esercizi di cucina molecolare: è così che foglie e tronchi in fermentazione, e oli essenziali di terra umida incontrano l’acidità del latte di capra e le consistenze ottenute con xantana e maltodestrine.
Due mondi in alternanza e sovrapposti che coesistono armonicamente in un piatto buono e perfettamente a fuoco, esattamente come l’altro fratello in carta, ovvero Panificando il riso, un Carnaroli spigoloso e superbo per ingredienti e accostamenti, che grazie alle acidità del lievito di birra essiccato, la carnosità della tartare di vacca piemontese (Cazzamali), la terra di burro e l’aria di latte affumicato, dà forma a un piatto strutturato e di puro godimento.
Gli ortaggi provengono direttamente dall’orto di proprietà e il menù varia circa ogni due mesi, con eccezion fatta per due piatti signature e perennemente in carta che promettono di divenire il biglietto da visita del giovane Chef: Il gambero al mare e Iberico Futura 75. Il primo, un gambero rosso di Sicilia sigillato in una bottiglia di recupero, incastonata in un sasso granitico del fiume Oglio arroventato a 260°, in cui – al momento del servizio – viene iniettata una soluzione di bisque e acqua di mare depurata, in modo da offrire una degustazione votata all’essenza della materia.
Il secondo, un filetto di maialino iberico da ghianda, marinato per almeno 48 ore in infiorescenza in canapa sativa e affumicato, e servito con patate al carbone vegetale e burro montato all’aglio.
Piatti a tratti onirici, in cui prevale la sfera soggettiva, istintiva e inconscia dell’ideatore, variabile impazzita nella ristorazione del territorio.
Menzione d’onore per la pasticceria, in cui tecnica eclettica e classica si fondono armonicamente a influenze avanguardiste. Godereccio Salvia! Disse la mela – mela granny, salvia, miele d’eucalipto e oro.
Altrettanto imperdibile, Ho trovato il cioccolato dove nasce il tartufo, un gelato vegano alla nocciola, tartufo bianchetto e soufflé al cioccolato Valhrona.
In ogni portata, dagli antipasti al dessert, vi è un continuo richiamo a Territorio e alle origini, sottolineando l’importanza di mantenere radici forti per proiettarsi nel futuro.
Non è casuale che la copertina del menù – la cui grafica è curata interamente dall’artista Filippo Alloisio – rievochi proprio questo concetto naturale. Un dettaglio che ci anticipa quanto il progetto de La Pedrera – a un anno esatto dalla sua (ri)nascita sia legato a filo doppio con il mondo dell’arte: lo testimoniano gli elementi d’arredo come i tavoli – pezzi unici in ferro acidato realizzati da Denis Martinelli – le atmosfere nordiche, e il dialogo incessante con artisti, coinvolti in mostre e “cene con l’artista” organizzate da Mara Gualina, compagna dello Chef e co-fautrice di un progetto innovativo, sensibilmente avanzato e perfettamente in sintonia col mutare dei tempi.