Un tempo qualcuno disse: “Nella giusta luce, al momento giusto, tutto è straordinario”.
Ed è proprio indagando il concetto etimologico di Luce che bisognerebbe scegliere di approcciarsi al progetto del Lume – ristorante di Milano che, a partire dal 2016, vede protagonista uno degli Chef più talentuosi e degni di attenzione del panorama cittadino.
Luigi Taglienti, classe ’79 e savonese non purosangue poiché a “contaminarne” le origini, un padre pugliese, un nonno toscano e una nonna molisana; gli stessi, con buona probabilità, ad averne plasmato il pensiero gastronomico e condizionato la passione che, assieme a una crescente professionalità, ha permesso a Taglienti di formarsi in alcune grandi Cucine, soprattutto tra nord Italia e la confinante Francia. Un percorso vario e stimolante che lo ha portato sino a Milano, città che lo ha accolto e consacrato con la stella Michelin, già ai tempi dell’esperienza al Trussardi alla Scala.
Un approccio serio quello di Luigi Taglienti, che scomoda il concetto di avanguardia e lo reinterpreta in maniera rigorosa e accademica, attribuendo innanzitutto valore e priorità a studio e ricerca, pescando dall’esperienza – con particolare riferimento a quella trasmessagli dal suo Maestro Ezio Santin, grazie a cui ha compreso l’importanza della “memoria della cucina italiana”, e del processo di modernizzazione delle antiche ricette, necessario per dare impulso all’evoluzione gastronomica. Un’interpretazione intima e personale che racconta di un mondo – quello di Taglienti – attraverso un personalissimo vissuto, esplorandone i sapori, la Terra e i suoi luoghi.
Ed è su questi valori che sorge il Lume, un ristorante moderno in cui custodire la memoria e la tradizione italiana. Un progetto partito nel 2016 e che ha convinto sin da subito, conquistando la prestigiosa Stella Michelin oltre ad altri riconoscimenti tra cui – il più altisonante – quello come “Miglior Nuovo ristorante d’Europa” – per la classifica internazionale del OAD-Opinionated About Dining.
Un ristorante in cui non si giunge per caso, ma attraverso un percorso consapevole e volto alla conoscenza e alla volontà di affidarsi alla capacità narrativa di uno Chef. Una narrazione che si esprime attraverso sapori, forme e piatti. Non è casuale che la degustazione venga intitolata Taglienti racconta Taglienti, un’esperienza gastronomica che – attraverso dieci corse – ti conduce per mano attraverso la storia e la cultura del nostro Paese, secondo il punto di vista e l’inimitabile talento dello Chef savonese che, finalmente, trova modo di raccontarsi in prima persona.
Percorso che si concretizza in piatti dall’approccio fine in cui è evidente quanto il concetto di cibo e arte siano indissolubilmente legati.
Intriganti e gradevoli benvenuto e amuse bouche, proposti con una Foglia d’inverno – ottenuta con farina di riso e cacao e servita con tutti gli elementi di una misticanza, caco mela cotto nella curcuma, melone pepino e bottarga e Barbagiuai liguri. Bella spinta dal doppio pomodoro disidratato e fritto che ci anticipa la passione sfrenata di Taglienti per le note acide e citriche. Estremi che non possono non presentarsi in Ostriche e nocciola, un piatto ai limiti della lussuria che – da solo – varrebbe la visita al Ristorante Lume e che, per dirla alla Taglienti, nasce dall’istinto: un’ostrica cruda, emulsionata con la sua acqua e succo di limone, e rifinita con la golosa dolcezza delle nocciole del Piemonte: una triangolazione perfetta di tre elementi che coesistono senza annientarsi, anzi, si esaltano in provocazioni giocose e goderecce.
Un menù in cui il Pianeta Italia è il vero protagonista. Nessun taglio netto con il passato di Luigi Taglienti, ma una maturazione in cui si prende coscienza di un Territorio a cui non manca nulla, ma che merita una rilettura continua e una contaminazione regionale imprescindibile.
E’ il caso del Bianco e Nero di Seppia, “remake taglientino” del classico spaghetto che parte da una base di riduzione di agrumi (giusto per rimarcare la passione per le acidità di Chef Taglienti), si sviluppa in una panna cotta di ricci di mare, sfoglie di bianco e nero di seppia e chiude con uno spaghetto soffiato.
Picchi altissimi per l’Anguilla in salsa bruna, ovvero un filetto cotto al barbecue accompagnato da soja, jus di vitello, tartufo nero, guanciale, funghi pioppini e cialda di focaccia genovese. Una bomba, dalla consistenza perfetta e in cui ancora una volta torna a fare capolino l’aspetto citrico che aggiunge valore a un piatto in perfetto equilibrio e a cui non manca nulla! Si prosegue con la Burrita – piatto della tradizione genovese che Taglienti fa rivivere in una crema di stoccafisso accompagnata da polvere di alloro, funghi disidrati e polvere di oliva.
Il progetto di re-scrittura vive il suo apice con una delle icone gastronomiche italiane – la Lasagna alla bolognese – con cui Taglienti azzarda la più pungente delle provocazioni per un ristorante di Alta Cucina: ovvero, non la esaspera con alcuna violenza o inutili giochi di stile anzi, la realizza secondo tradizione e a regola d’arte, ovviamente utilizzando quanto di meglio offra il mercato e firmandola con la graffiata tipica dello chef ligure – la nota citrica che, nello specifico, è rappresentato da una punta di lime. Per il resto, essenza pura per un risultato leggero – piacevolmente morbido e goloso al suo interno, e croccante fuori. Perché per Luigi Taglienti la vera Avanguardia (o quantomeno la sua) sta nello studio e nella riscoperta.
Riscoperta. Esattamente come per il pastellato protagonista della Frittura di pesce morone al salmoriglio tecnica gastronomica appartenete al nostro patrimonio che al Ristorante Lume ritrova nuova linfa e risorge in una veste asciutta, pulita e freschissima. Provocazione estrema, invece, per la Quintessenza di un Tocco Genovese, per cui viene presentata nel piatto unicamente la salsa, senza lasciare spazio a giochi di contrasti o consistenze.
Visione pura per la conclusione del pasto che – facendo spalluce alle più comuni convenzioni – non si riduce a comuni dessert e predessert, ma innesca una sorta di Andata-Ritorno con piatti che potrebbero essere tranquillamente interpretati e presentati all’inizio del pasto. Primo esempio la Torta di carciofi con essenza al Cynar di proustiana memoria che Taglienti cuoce come una tarte tatine e serve accompagnata dal liquore preferito dal nonno. Un’evoluzione che continua e conclude l’intero percorso con il Cappuccino di funghi con budino ai fegati chiari, accompagnato da una piccola parte di rum e composta di amarene che consentono alla nota dolce di prevalere, riportando comunque il percorso in cui tutto, potrebbe tranquillamente ricominciare.
Pane e grissini non semplicemente realizzati in casa ma davvero buoni (aspetto non sempre scontato, anche nei ristoranti gourmet).
Un concetto che non fatica a esprimersi anche nel suo ambiente, che triangolando tra una naturale ed evocativa luminosità, spazi ariosi, ed eleganti richiami grafici dei più classici pizzi, da forma a una straordinaria raffinatezza che giocando tra contrasti e garbata ricercatezza, contestualizzano senza sbavatura alcuna l’idea che lo chef savonose, ha scelto per “dare luce” al progetto del Lume.
Bella l’idea di una una cucina a vista comunque discreta, così come lo splendido dehors che, durante la bella stagione, aggiunge una decina di coperti ai trentacinque già esistenti, coccolati da un servizio giovane, attento e impeccabile.
Una sfida coraggiosa quella di Luigi Taglienti, volta a riplasmare una tradizione – quella gastronomica italiana – che merita di essere rivissuta tra passato, presente e futuro e portata alla giusta Luce.