Che un calciatore, appesi gli scarpini al chiodo, scelga di dare forma un ristorante, non è una novità.
Ma qui non parliamo di un ristorante qualunque né tanto meno, di calciatori qualunque.
Parliamo di una coppia d’assi – Roberto Donadoni e Mauro Tassotti – che, abituata a vincere tutto negli anni d’oro del glorioso Milan, non poteva semplicemente accontentarsi! E che dunque, chiamato in squadra un terzo socio – Marco Spreafico – proveniente da un Universo differente di quello del pallone, ma pur sempre appassionato del buon cibo, sceglie di aprire un ristorante fuoriclasse.
Un ristorante fuoriclasse in tutti i sensi: sia perché ai fuochi vuole un giovane intraprendente e dai trascorsi luminosi.
Sia perché sceglie una strada non convenzionale e a tratti pericolosa, in un territorio probabilmente non (ancora) abituato a una cucina di sperimentazione e ricerca, capace di mutare forma – ma non sostanza – col trascorrere del tempo.
E’ la Nuova Trattoria Dac a Trà, un luogo che nel nome sintetizza da un lato il concetto di “novità” e freschezza e dall’altro ci invita a prestare attenzione a un progetto tra i più interessanti e intriganti in circolazione al momento.
Merito di Stefano Binda, giovane chef classe ’76 e lecchese purosangue che dal 2011 – anno di apertura del ristorante – ha saputo intraprendere e concretizzare un’idea di cucina innovativa e di forte personalità, senza temere i confronti o giudizi con un Territorio conservatore e troppo spesso anacronistico, sino all’ottenimento – alla fine del 2013 – della meritatissima stella Michelin.
No, Binda ci mette il cuore, intraprendendo un’incessante sperimentazione che trova forma in proposte e ricette che traggono spunto dai prodotti del vicino Territorio, ma che non temono di sconfinare verso una ricerca del meglio della nostra Penisola, laddove il Kilometro Zero incontri limitazioni o ponga resistenze. E’ così che dal pescato di lago del celeberrimo Cecco o dai prosciutti Marco d’Oggiono dell’omonimo prosciuttificio, si migra Oltralpe alla ricerca dei piccioni migliori, o si devii in Piemonte dove la scelta di carne Fassona non teme confronti. Una cucina di qualità, elegante e a tratti cerebrale, che innalzano Stefano Binda tra i più interessanti talenti gourmet della Lombardia.
Il locale, piacevolmente accogliente, punta sull’informalità e su un’elegante semplicità. Bandite le sovrastrutture, i tavoli si alternano in soluzioni con tovagliame di lino leggero a espedienti più estremi, in cui i tessuti lasciano spazio alla schiettezza di piani spogli, sinceri e moderni.
Essenza e pulizia che si manifestano coerentemente in un menù dall’approccio democratico, in cui non vengono imposte gabelle medioevali quali il costo del coperto: la carta propone piatti che oscillano dai 18 ai 30 euro, mentre i percorsi degustativi variano anche per tipologia: più rassicuranti e cristallini – come per il menù dei classici – in cui, per 65 euro, vengono proposte 5 portate che hanno fatto la storia della Nuova Trattoria Dac a Trà, o due “lunghezze” del A mano libera, in cui si sceglie di affidarsi all’estro e alla visione dello Chef. Il tutto, coordinato e accompagnato da un servizio di sala professionale e al contempo giovane e spigliato.
Se è vero che Derek Brown – ex direttore della rossa inglese – sosteneva che per aggiudicarsi la seconda stella Michelin fosse fondamentale servire degli Amouse-bouche di grande estro e visione, Binda si candiderebbe senza sforzo. Così come la scelta di aprire le danze con un centrifugato di verdura o ancora con un Ostrica, sorbetto di levistico e yogurt, che saluta con fierezza la banalità di crudi di pesce alla francese che, diciamocelo, hanno davvero consumato il loro tempo.
Entusiasmanti gli antipasti: sia nel caso del pesce, con i Gamberi rossi di Sicilia, fave di cacao, rape e tamarindo, dove i crostacei vengono trattati in due sistemi differenti (fritti i carapaci, e cotti sottovuoto per un paio di minuti a 50° le carni), così come le rape (in parte carpacciate e nell’altro gelificate); sia per le carni, nello specifico, un Petto di piccione, con nocciole, paté di animelle e caffé, in cui il sentore affumicato e la consistenza delle materia si connotano in una totale unicità da rimanere facilmente impressi nella mente e nel palato del fortunato commensale.
Con i primi, Stefano Binda cala l’asso delle paste ripiene, con la volontà si stupire attraverso piaceri e consistenze a tratti lussuriose, capaci di risvegliare il palato con giochi di esplosiva soddisfazione. E’ il caso del Raviolo ripieno di acqua di vongole, plancton marino e crema di mandorle che, assaporato in un sol boccone, rievoca il tipico piacere che solo il gioco dei contrasti, può procurare. Sensazioni analoghe per i Cappelletti ripieni di pesto, finferli allo yuzu e polpo abbrustolito. Inenarrabili gli Gnocchi, lago e primavera, gnocchi morbidi di piselli realizzati senza farina né patata, ma con amidi e mascarpone che, conferendone una scioglievolezza inaspettata, propongono un piatto davvero sorprendente, soprattutto per la percezione dei sapori che – diversamente dal consueto – antepongono la sapidità del piatto (caratterizzata dalla crema di acqua di ricotta, Squartone del Lario e bottarga di lago), alla dolcezza del pisello che – al morso – coccola il palato solo in fase finale.
Sui secondi, c’è solo l’imbarazzo della scelta: perfetto il pesce, sia nel caso del Gabilo tiepido, semi di oliva e gazpacho verde, ovvero un merluzzo servito con gazpacho di peperoni, pomodori e cetriolo, sia per il Rombo e BBQ, proposta in cui il filetto di rombo viene cotto proprio con questa tecnica, così come le verdure utilizzate per crearne la salsa, e impreziosito da una polvere nera di ceci.
Grandissime potenzialità per il secondo di carne, un Filetto di Fassona in crosta di pane, tartufo nero estivo, porcini e salsa al pecorino, soprattutto per la cottura e la resa della protagonista principale e di una salsa al pecorino incredibile nella sua ideazione che – alla ricerca della leggerezza – sostituisce con l’addessante vegetale (l’agar agar), componenti più tradizionali, pesanti e scontati come burro o panna. Probabilmente troppo “giovani” e dunque inutili tartufo e funghi che non aggiungono nulla a un piatto già perfetto di suo.
Momento vicino alla commozione quello dedicato ai dolci, su cui Binda e la sua squadra si aggiudicano un podio momentaneo di questo 2017. Le idee e i sapori sembrano anticipare e discostarsi prepotentemente con quanto di più convenzionale. Lo raccontano i predessert, dalla pastinaca (la radice del prezzemolo) con orzo e crema di caffè – da estrarre da un “terreno” di polvere di caffè e pasta di sale, a l’idromele realizzato con il miele dello stesso Territorio, da bere in abbinamento a una sfera “esplosiva” di mele , cardamomo e menta.
Viste le premesse, il momento del dessert non può lasciare insoddisfatti, anzi… Golositità assoluta per Da Nord a Sud, dolce che vuole rievocare il viaggio lungo il nostro Stivale che, partendo dal suo apice più meridionale ritrova ispirazione in un cannolo siciliano, raffinandolo, allegerendolo e reinventandolo: due cialde di mandorla abbracciano una crema di ricotta mantecata con gli agrumi precedentemente messi sotto azoto e poi sbriciolati, al fine di donare la componente acida al piatto che conclude il suo viaggio proprio a nord, in una riduzione di Amaro Braulio. Piacere ai limiti della censura per il dessert vegetale, un Cioccolato soffiato, granita di basilico, shiso, mela verde e sedano rapa; gelato di melanzana e polvere di orzo, dolce che meriterebbe un posto d’onore nella pasticceria moderna per inventiva, leggerezza, piacere.
E se i dessert spiccano per creatività, non meno stupore è dato dalla petit-fours finale che, in un Bosco Sottozero, propone l’assaggio di ricordi fanciulleschi e proustiani come il cioccolato frizzy con frutto della passione e i più moderni ghiaccilioni al sambuco.
Uno Chef e un ristorante che giocano d’attacco e che – senza sbagliare un solo passaggio – si muovono con agilità, driblando le convenzioni e – da veri fuoriclasse – vanno a segno con un cocktail perfetto di tecnica e spettacolo.
Uno spettacolo destinato ad aumentare nel 2018, momento in cui il Dac a Trà cambierà pelle e sede, traslocando sulle rive del lago di Oggiono, in quelli che furono i locali storici della Ca Bianca. Un luogo dove il ristorante stellato di Stefano Binda e della sua giovane brigata riprenderà forma e sarà affiancato da un Bistrot, e da uno splendido Relais con 10 suites con SPA interna. Ma questa, è un’altra storia…
photo credits: Blossoming, Giovanni Caldara, Hermes Tocchetti