“Memento audere semper”
(Ricordati di osare sempre)
Osare sempre! Monito che oltre un secolo addietro Gabriele D’Annunzio inneggiava con grande onore e che oggi sembra echeggiare nei luoghi che ne accolsero il ritiro negli ultimi anni della propria vita, sulle rive del Lago di Garda.
“Memento audere semper”.
Un’ispirazione colta sapientemente da Marco Cozza e Andrea De Carli, due giovani nati entrambi nel 1991 e provenienti da un altro lago, quello di Como.
Due giovani che, nel 2015 osano, scegliendo di portare le proprie idee in uno dei luoghi più belli d’Italia: il Lago di Garda. E lo fanno con grande intelligenza e vocazione culturale, rilevando un’osteria storica del Territorio – l’Antica Trattoria alle Rose che, a distanza di poco tempo, semplificano e sintetizzano in Rose Salò.
Un cambiamento che non riguarda solo la denominazione del locale, ma una graduale metamorfosi della proposta, degli ambienti, e soprattutto dell’idea di cucina.
Percorso che i due giovani chef affrontano grazie alla profonda esperienza maturata sin dagli albori uno accanto all’altro, prima alla scuola alberghiera di Como, poi nelle cucine dell’Albereta – dove muovono i primi importanti passi sotto la guida dell’indimenticato Maestro Gualtiero Marchesi – e successivamente al Del Cambio di Torino, a fianco di Matteo Baronetto, esperienza che Cozza interrompe prima di De Carli per approfondire le sue conoscenze a Livigno, a fianco del compianto Mattias Peri, sino all’anno della sua scomparsa.
Infine, ancora insieme per cogliere quella rosa – parafrasando nuovamente il Vate – sulle rive che oggi accolgono un vero e proprio fermento gastronomico innescato da rappresentanti come Riccardo Camanini, Stefano Baiocco o Maurizo Bufi – solo per citarne alcuni – che la coppia Cozza/De Carli non percepisce come un limite, ma coglie come impetuoso stimolo per affermare il proprio talento in un contesto che scelgono di conoscere ed espolorare attraverso i suoi prodotti e la sua storia.
Ed è proprio ciò che fanno: dapprima aprendosi al Territorio e andando alla scoperta di piccoli grandi produttori, che mostrano ai due giovani chef la ricchezza e la generosità della zona. Successivamente, focalizzando la propria identità su un elemento che ne contraddistinguerà la cucina e il ristorante: le erbe botaniche.
«Ho sempre avuto una grande passione per le botaniche» confessa Marco, «così, verso la fine del 2017 abbiamo compreso quanto questo elemento dovesse rappresentare il centro della nostra idea di cucina: le carni, i pesci o qualsiasi altra materia utilizzata all’interno di un piatto, avrebbe dovuto adeguarsi ed essere interpretata grazie alle erbe a nostra disposizione; in tal senso, abbiamo iniziato un’importante collaborazione con l’Erborista Selvatico Graziano Perugini, già erborista della vicina Tassoni, Azienda con oltre duecento anni di storia e celebre in tutto il mondo per la sua Cedrata». Sfaccettature differenti attraverso cui presentare il Lago di Garda e un menù – Herbario – che si racconta esattamente attraverso la terra, e che lascia facoltà al commensale di scegliere una degustazione da 5 erbe (50 euro), o da 10 (70 euro), affidandosi poi all’estro degli chef.
Territorio narrato non semplicemente attraverso le botaniche e i suoi sapori, ma esplorandone storia e cultura – come dimostrano i menu dedicati a Gabriele D’Annunzio, nati grazie a un’importante collaborazione con il Vittoriale, in cui il Principe di Monetenevoso trascorse anni importanti della propria vita. Menù che nascono dalle duecentocinquanta lettere e manoscritti originali in cui il Vate comunicava ad Albina Becevello – sua cuoca personale o «Santa Cuciniera», per dirla col Poeta – l’elenco di quanto avrebbe gradito consumare il giorno successivo. Un esempio, riporta:
Per Albina.
Un risotto magistrale.
Una frittata (con qualcosa: presutto o altro).
Ossobubuco. Asparagi di monte con olio.
Niente altro
Cimeli di infinito valore che Marco Cozza e Andrea De Carli interpretano in una carta (60 euro) che merita il viaggio e l’esperienza irripetibile: dal riso pilaf servito con gamberi di mare (poiché D’Annunzio non amava il pesce d’acqua dolce), all’ossobuco crudo – grazie all’eccellente carne di vitello frollata ottantasette giorni dalla Mastra Macelleria Alebardi – sino alla decodificazione di quel «niente altro», che ci racconta dell’avversione dannunziana nei confronti della nota dolce a fine pasto, e che stimola i due giovani chef lariani a indagare sulle dinamiche quotidiane del luogo, per elaborare il giusto dessert.
Una cultura e un’identità che non può non venire assorbita da piatti che colpiscono per elaborazione e identità sin dalle amuse-bouche: buoni sia il Panino di farina di canapa cotto al vapore servito con maionese e caviale bresciano, che la Spugna al basilico con cipolle in saor e fiore di Tarassaco fermentato. Eccezionale la Finta Oliva, ottenuta dalla fermentazione di tre radici: pastinaca, rapunzia e scorzonera, frullate e glassate con il succo dell’oliva verde: una piacevolezza inarrivabile che grazie alla freschezza e all’acidità tipiche della salamoia, lascia pulito il palato e lo prepara a quanto verrà.
Contrasti acidi amari, fondi e doppi fondi di ispirazione marchesiana – spesso realizzati unicamente con la componente vegetale – fermentazioni, estrazioni e osmosi di erbe, radici e frutta. E’ questo il fil rouge delle proposte che accompagnano dall’antipasto al dessert e che si manifesta palese in un’insalata di erbe spontanee cotte al cartoccio e arricchite da una bagna cauda in cui le acciughe lasciano spazio alle sarde lacustri e che, nel complesso, lasciano che le note acide e amare duettino sinuosamente, senza mai annullarsi vicendevolmente.
Prosegue con successo l’esperimento vegetale con la Variazione di asparagi e con lo Spaghetto di Barba di becco, interessante proposta in cui – ancora una volta – si altalena tra le note acide e amare tanto care agli chef.
Tra terra lago è un piatto che testimonia quanta armonia vi sia tra entroterra e costa gardesana: la terra – riconoscibile nei sentori dati dal sottobosco del fungo e dai profumi di un lampascione del Garda cotto confit nell’olio di nocciole – si incontra armoniosamente con la dolcezza di una tartare storione e delle uova di trota. Il tutto, sublimato dalle note agliacee dell’alliara e da quelle acide di un brodo realizzato con bucce di cipolle e succo di limone.
Ancora terra con le Lumache che per l’occasione sconfinano nella provincia di Sassari e incontrano il pane Zichi, tipico pane sardo cotto nel brodo di pecora che al Rose Salò viene servito con pecorino, fave, bagnetto rosso piemontese, e che come botanica protagonista, individua nel finocchietto selvatico l’elemento dalla giusta freschezza.
Applausi per Salnitro, un Carpaccio di controfiletto di pecora della Val Camonica, brodo bruciato, daikon, acetosella ed estratto di lattuga di mare; un piatto che trae ispirazione e nasce dalla storia della serenissima repubblica veneziana di cui la Lombardia faceva parte: secondo fonti storiche, nel XV secolo i veneziani richiedevano grandi quantitativi di salnitro – di cui la provincia di Brescia era ricca – un minerale estratto dalla terra, necessario alla produzione della polvere da sparo. Il salnitraio (una sorta di chimico dell’epoca preindustriale) sceglieva un terreno ricco di calcio e fosforo (elementi di cui, non a caso, è ricca la lattuga di mare) in cui far pascolare le pecore che, grazie alla pastura, trasformavano gli elementi originari del terreno in ammonato di calcio che – a seguito di un trattamento chimico – veniva trasformato in salnitro. Un capitolo di storia che Marco Cozza e Andrea De Carli ripropongono in un piatto in cui passato e presente ritrovano un punto d’incontro e in cui è evidente l’approccio tipicamente marchesiano, votato alla cultura.
Memorabile la Panada, rivisitazione dell’antica zuppa preparata con un pane speziato passato nell’uovo, burro mantecato all’alloro, cialde di Grana Padano croccante, puntarelle fresche e bottarga di branzino; a chiusura del piatto, brodo caldo di carne ed erbe.
Reinterpretazione della tradizione anche per la classica pasta al Ragù, in cui la tipica preparazione bolognese viene nobilitata, scegliendo di realizzare un fondo con le carni in cui mantecare i fusilloni, il cui gusto pieno e tendenzialmente amaro, viene accompagnato soavemente dalla dolcezza delle verdure e dall’acidità di rabarbaro e foglie di acetosa.
Vale il viaggio Quasi un coniglio alla cacciatora, un’astrazione della classica ricetta della tradizione in cui un vitello in salamoia prende le parti del più classico animale da cortile e dove emergono con chiarezza i profumi della tipica salsa, a cui si aggiungono delle melanzane glassate e i rognoncini di coniglio. Il soffritto lascia il posto alla fermentazione delle verdure che – grazie ad acidità e freschezza – alleggeriscono e sdrammatizzano un secondo piatto che, in tal modo, chiude il pranzo in maniera memorabile.
Notevoli anche i dolci, in cui l’aspetto della memoria e la nota vegetale restano i protagonisti indiscussi della degustazione: di proustiana memoria la Mela campanina,cotta in forno con sale e albume, e delizioso per leggerezza ed equilibrio, l’Ananas con peperone e latte d’asina,accompagnato da foglie di levistico.
Cantina ben assortita, con quasi trecento referenze soprattutto italiane e ben proiettate verso l’Universo biodinamico, proposta con spontanea professionalità dalla giovane e brava maître e sommelier Sandra Sanna.