Venerdì 29 gennaio 2021 l’Esecutivo – nella persona del Ministro della Salute Roberto Speranza – ha decretato che a partire da domenica 31, quasi tutte le regioni italiane (eccezion fatta per Puglia, Sardegna, Sicilia, Umbria e la Provincia Autonoma di Bolzano) sarebbero passate in Zona Gialla.
Poi, ha ritrattato, procrastinando le aperture a lunedì 1° febbraio per Abruzzo, Calabria, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte, Valle d’Aosta, Veneto, Lombardia, Basilicata, Campania, Molise, provincia di Trento e Toscana, rimandando di un giorno la possibilità in queste sedici regioni di “muoversi liberamente” entro i confini regionali. Resta valida la regola sulle visite nelle case private: si può andare da amici e parenti una sola volta al giorno, al massimo in due persone (minori di 14 anni e disabili non rientrano nel calcolo), dalle 5 alle 22. Aperti i musei dal lunedì al venerdì, e tutti i negozi – tranne i centri commerciali nel fine settimana.
Relativamente al settore della ristorazione, bar e ristoranti resteranno aperti fino alle 18.00 con tavoli predisposti per un massimo di quattro commensali e ovviamente disponibili solo per il servizio del pranzo. Dalle 18.00 alle 22.00 resta consentito invece il servizio da asporto (non per i bar senza cucina e le per enoteche), mentre la consegna a domicilio è permessa senza limiti di orario.
Zona gialla dunque. Una concessione che appare tristemente come la conquista massima a cui l’individuo o il lavoratore onesto possa ormai ambire, considerando che le chiusure a singhiozzo imposte dal governo sino a oggi hanno costretto alla chiusura 291.000 locali italiani, ovvero l’81% degli esercizi commerciali.
Numeri da brividi e che, secondo Coldiretti si traducono in un -48% di fatturato per la ristorazione, con una perdita complessiva di quasi 41 miliardi di euro.
Numeri ed effetti devastanti che non possono non colpire a cascata l’intera filiera agroalimentare che, nel nostro Paese, è rappresentata da 70.000 industrie alimentari e 740.000 aziende agricole, per un totale di 3,6 milioni di posti di lavoro.
3,6 milioni di posti di lavoro sempre più a rischio.
Numeri da brivido, soprattutto se confrontati con quelli appena divulgati dall’Istituto Superiore di Sanità che nell’ultimo rapporto conferma che “al 27 gennaio 2021 sono 941, dei 85.418 (1,1%), i pazienti deceduti SARS-CoV-2 positivi di età inferiore ai 50 anni. In particolare, 234 di questi avevano meno di 40 anni (138 uomini e 96 donne con età compresa tra 0 e 39 anni). Di 52 pazienti di età inferiore a 40 anni non sono disponibili informazioni cliniche; degli altri pazienti, 147 presentavano gravi patologie preesistenti (patologie cardiovascolari, renali, psichiatriche, diabete, obesità) e 35 non avevano diagnosticate patologie di rilievo”.
Dati scientifici che ci raccontano per l’ennesima volta quanto questo virus continui a colpire in maniera grave e letale solo ed esclusivamente le fasce deboli della popolazione, quelle insomma che difficilmente avrebbero trascorso le proprie serate al tavolo di un ristorante, o in bar e locali della cosidetta movida metropolitana.
Fasce deboli che si sceglie lucidamente di continuare a non proteggere – lasciandole libere di frequentare supermercati, chiese o mezzi pubblici – colpendo invece un settore che, anche con la parziale riapertura per il servizio del pranzo, non arriverà a toccare che una minima percentuale dei fatturati necessari.
Parziale riapertura che, con buona probalità, non sarà altro che una passeggera chimera, destinata a interrompersi a causa di prevedibili innalzamenti dell’RT, varianti inglesi, brasiliane o qualsiasi altra variabile possa ributtare il Paese nell’incertezza a cui ormai siamo tristemente abituati. E che potrebbe portarci a un futuro non troppo distopico. Come in questo video dal sapore dolce-amaro.