Alcune cucine sono fatte semplicemente di ingredienti e di sapori.
Altre si spingono inconsapevolmente oltre, sfondando la barriera di una qualità già di per sé altissima, e rifinendo il gusto dell’esperienza di un’energia vitale e pulsante, capace di infondere positività a piatti, gusto e atmosfera.
Non è il prologo di un trattato di filosofia new age, ma è semplicemte quanto energicamente percepito, varcando la soglia della cucina de Il Parco di Villa Grey, novità ristorativa 2019 della cittadina di Forte dei Marmi.
Un’energia emanata da un giovane chef che risponde al nome di Nicola Gronchi, classe ‘84 e carrarino DOC che, cresciuto in una famiglia di macellai da cui ha imparato cura e rispetto per la materia prima, inizia la sua esperienza lavorativa nel 2002, formandosi nelle cucine di alcuni ristoranti e relais della Versilia. Due stagioni a Cortina e un anno trascorso alla Parolina di Iside De Cesare a Viterbo, per approdare poi a La locanda del Pilone ad Alba, dove diventa il secondo dello chef giapponese Masayuki Kondo.
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Nel 2016 viene chiamato a gestire la cucina del Bistrot di Forte dei Marmi, presso il quale ottiene, di anno in anno, la riconferma della Stella Michelin. Una stella che però non vuole rappresentare né un confortevole punto di arrivo, né un limite al desiderio di di esplorare vie sconosciute e che, ad aprile del 2019, conduce Gronchi ad accettare la sua più recente scommessa, varcando la soglia di una nuova cucina, costruita intorno alle sue esigenze, alle sue ispirazioni e all’importanza delle relazioni con una brigata che – per lo chef carrarino – sembra essere più una famiglia, che un gruppo di lavoro.
Una cucina che sorge all’interno dell’elegante Boutique Hotel 4 Stelle Villa Grey di Forte dei Marmi che – con il progetto ristorantivo de Il Parco di Villa Grey – sceglie di completare la proposta legata all’ospitalità di eccellenza con un ristorante gourmet capace di arricchire l’offerta del luogo, distinguendosi attraverso una cucina di lusso, ma al contempo sincera e diretta, e capace di valorizzare al meglio le eccellenze del territorio.
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Territorio che dunque primeggia in carta e che viene glorificato con un approccio essenziale e mai opulento: una moderna semplicità che aborra estremismi e che ama esaltare pochi ingredienti (massimo tre o quattro per pietanza), oltre a stravolgere regole e schemi attraverso una carta volutamente snella e a tratti avanguardista, in cui la classica ripartizione tra antipasto, primo e secondo, viene liquidata a favore di una scelta dettata unicamente dal desiderio e dal piacere.
Piacere che si ritrova sin dai primi assaggi – attraverso una carrellata di idee che delineano con efficacia lo stile dello chef. Uno stile in cui leggerezza e carattere coesistono armonicamente, e che attraverso creazioni come il Topinambir, cioccolato bianco e uova di salmone selvaggio, il Bottone di olio e lime, o l’Ala di razza in tempura con gel al limone si esprime briosamente.
Le idee non mancano, pur sempre favorendo la schiettezza e la semplicità del gusto: ne è un esempio, la rivisitazione della Panzanella Toscana che al pane raffermo predilige la nota salmastra di un tonno rosso del Mediterraneo abbinato alle differenti tipologie e consistenze del pomodoro.
Bomba di piacere e freschezza l’Ostrica servita con la crema del medesimo conchigliaceo, gambero rosso, zuppetta di cetriolo, spuma di mare e foglia d’ostrica: un assaggio che privilegia evidentemente la nota salmastra, e lo fa con estrema delicatezza ed eleganza, non risultando pungente al palato e chiudendo il morso atrraverso una consistenza perfetta.
A conferma del progetto “gronchiano” di eliminare la suddivisione in Carta, la Triglia, che nella degustazione de Il Parco di Villa Grey vien presentata sin da subito in un’interessante composizione con maruzzelle, fagioli stortini, acetosella e salsa al curry.
La scossa giunge con il Risotto alla rapa con rafano, ricci di mare e sgombro marinato, un primo che non accetta compromessi e rompe gli indugi, mostrando un approccio alla cucina identitario e sensualmente aggressivo: un carnaroli dalla mantecata perfetta e dall’equilibrio esemplare di ogni singolo ingrediente. Un piatto avvolgente, cremoso ed emozionante che si autoproclama senza difficoltà alcuna, come tra i migliori assaggiati in questo 2019.
Audacia e ottime intenzioni per la Trippa di baccalà servita con porcini e consommé.
Golosamente piacione lo Spaghetto di Gragnano aglio, olio e peperoncino servito con gambero biondo crudo, polvere di oliva e bottarga di capra.
Evidente attenzione alla qualità del pescato locale anche per il Rombo chiodato servito con zucchine marinate, fiore di zucca in tempura, maionese all’aglio nero, salsa ai pinoli e colatura di alici – piatto delicato ma con una sua interessante complessità.
I dolci, eseguiti dalla pastry Veronica Sbordone, chiudono in semplicità il pasto che può essere degustato attraverso la libertà della Carta o con uno dei tre menù degustazione proposti.
Una cucina d’autore che stimola la crescita e la composizione di una cantina in evoluzione gestita dal sommelier Alessandro Frisario, già conoscenza di Gronchi ai tempi dell’esperienza piemontese presso la Locanda del Pilone.
Un ristorante inserito in un ambiente di grande suggestione: un giardino (o un Parco, per l’appunto!) dalle atmosfere coloniali in cui la ricca vegetazione abbraccia i pochi tavoli posizionati nello splendido dehors arricchito dal calore di legno e tessuti, e impreziosito dal piccolo orto biologico al suo interno.
Photo credits © Lucio Elio