Ristorante Trippini di Paolo Trippini – Civitella del Lago (TR)
Era il 1964 quando a Civitella del Lago, piccola frazione del comune di Braschi popolato oggi da poco più di 400 anime, sorgeva una piccola trattoria di paese gestita dai coniugi Giulia e Giuseppe Trippini. Un luogo in cui mangiare bene e ritrovarsi, in un momento storico in cui benessere sociale ed economico della zona conoscevano una crescita inarrestabile, grazie alla contingente realizzazione del tratto autostradale limitrofo e dal completamento della vicina diga di Corbara. Un luogo noto a chiunque come “Da Peppe se Pappa”, un’intima e calda osteria in cui mangiare piatti semplici e genuini destinato a proseguire la sua parabola famigliare dal 1973 sotto la gestione del figlio Adolfo che inaugurando l’era del Ristorante Trippini a partire dagli anni novanta, iniziò a innsescare una fase di rinnovamento e ricerca intorno a qualità e materie, anticipando il trend attuale a cui ormai l’Alta Cucina contemporanea ci ha piacevolmente abituato. Adolfo, oltre a ciò, ebbe un’ulteriore visione: quella di investire sul futuro del figlio Paolo Trippini, non confinandolo nelle cucine del ristorante di famiglia, ma scegliendo di destinarlo a un percorso fatto di esperienza e conoscenza iniziato nel 1996 ai fuochi del ristorante stellato Arnolfo di Colle Val d’Elsa (SI), per poi approdare nelle cucine di Gianfranco Vissani nel 1999 – periodo magico per lo chef di Braschi – volando poi a Berlino al fianco di Enrico Bartolini e infine di nuovo in Italia, alla Corte del ristorante stella Michelin l’Osteria del Povero Diavolo.
Una “gavetta” che forma e completa Paolo Trippini, sino a prepararlo al passo più importante, quello ovvero di acquisire nel 2006 – appena ventiseienne – le redini del ristorante di famiglia, definendo il nuovo corso del Ristorante Trippini. Una responsabilità importante per questo giovane classe 1979, che – sulla scia di mode e tendenze di provenienza iberica, rischiava di perdere per strada la memoria guastativa di prodotti e tradizioni locali che solo una Terra come l’Umbria è capace di offrire. Così, superati gli estremismi, e raggiunto l’equilibrio perfetto per quella che avrebbe dovuto essere la sua impronta in cucina, Paolo definisce il nuovo corso del Ristorante Trippini, fondandolo sulla centralità del Territorio e dei sapori locali, lavorati con tecniche moderne e presentati talvolta con abbinamenti inaspettati o inconsueti.
E’ dunque l’Umbria la protagonista assoluta di Trippini e del suo ristorante che, attraverso una spasmodica ricerca di ingredienti e produttori, emerge e viene valorizzata non solo attraverso la cucina di Paolo, ma tramite un’incessante ricerca di piccole grandi eccellenze e produttori che – coinvolti nel progetto del Ristorante Trippini innescano un circolo virtuoso capace di sostenere ed emancipare il territorio e i suoi attori.
Ad affiancare Paolo Trippini – giustamente riconosciuto quale referente di punta per la regione dagli Ambasciatori del Gusto – in tale importante progetto, il fratello Luca che, oltre a essere Sommelier e il responsabile di Sala del Ristorante Trippini, è anche il Presidente della Comunità de’ Pazzi, cooperativa di comunità locale che a oggi ha saputo riqualificare il territorio, colture tradizionali come quella dell’ulivo e, al contempo, creare importanti posti di lavoro legati alla terra e non solo.
Una cucina fatta di colori, profumi e sapori in cui ogni elemento viene valorizzato nella sua eccellenza: a partire, ovviamente, dal Re degli ingredienti umbri – sua Maestà il Tartufo – che Paolo Trippini utizizza diligentemente secondo calendario e stagionalità, legandolo ” nel Bosco Umbro con una spuma di patate sifonata, un pot-pourri di verdure di stagione lavorate al coltello, germogli e botaniche. Elementi che mantengono un’ecezionale distinzione tra i sapori e un’evidente verticalità del piatto a ogni affondo.
L’Animella di vitello cotta nel burro e glassata alla mela verde, polvere di erbe amare e cipolla rossa è piaciona e raffinata, lasciando ampio spazio a un’azzeccato gioco di equilibri in cui dolcezza, ferrosità, acidità e amaricante creano corrispondenze volubili, poetiche e spiazzanti.
Varcare la soglia del Ristorante Trippini non è un’esperienza che può essere meramente delimitata al suo aspetto gastronomico. Sedersi alla tavola di Paolo significa infatti entrare in un universo fatto di calore in cui Luca e Angela dirigono un’accoglienza disinvolta e capace, e in cui ogni elemento non è lasciato al caso: a partire da una carta dei vini composta da 350 etichette di cui oltre la metà provenienti dal Territorio; o il pane, realizzato in casa con grani locali e senza addizione di lieviti, servito ovviamente in accompagnamento all’olio extravergine della Comuità de’ Pazzi. Dettagli chiaramente coerenti con il progetto di cucina ancor più apprezzabili all’interno di una cornice unica, affacciata sul Lago di Corbara, a sua volta abbracciato da una meraviglia naturale estesa dall’Antiappennino Laziale sino alla Toscana Meridionale.
Uno spettacolo unico che basterebbe per affrontare il viaggio alla volta del Ristorante Trippini, a cui però non possiamo non aggiungere la bontà di piatti caratterizzati da guizzi creativi sempre capaci di mantenere saldo l’ancoraggio con una cucina comprensibile. Il risotto agli estratti di cicoria, blu di capra e polline è un bell’esercizio di originalità e bilanciamenti in cui elementi contrastanti e in taluni casi audaci dialogano per un risultato impavido e di felice intuizione.
In virtù della tutela e della celebrazione territoriale, il menù propende coerentemente verso la scelta di vegetali e carne; selezione che consente di valorizzare al massimo produttori e allevatori umbri, come nel caso del Maialino da latte dell’Azienda Agricola Stile Brado, servito con lattuga grigliata e salsa di mandorle tostate.
Persino in chiusura Trippini conserva tutta la tensione creativa, chiudendo con un magistrale contrappunto offerto da un Gelato alle olive, biscotto al mandarino e cioccolato bianco, dessert in cui la grassezza del cioccolato bianco avvolge di piacere le note acide e amare sul finale di un’esperienza in cui sorpresa e ricerca non deludono mai.